COMMISSIONE D'INDAGINE
Seduta 03 - 09 Agosto 2001
BOZZA NON CORRETTA
COMMISSIONI RIUNITE
I (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E 1a (AFFARI COSTITUZIONALI, AFFARI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E DELL'INTERNO, ORDINAMENTO GENERALE DELLO STATO E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE) DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
COMITATO PARITETICO
INDAGINE CONOSCITIVA
Seduta di giovedì 9 agosto 2001
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La seduta comincia alle 9,40.
Indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova.
(Il Comitato approva il processo verbale della seduta precedente).
Audizione del prefetto di Genova, Antonio Di Giovine.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del prefetto di Genova, dottor Antonio di Giovine.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta. La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali. Se non vi sono obiezioni da parte di alcuno, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Pertanto, l'impianto può essere attivato.
Saluto il nostro ospite e lo ringrazio per aver accolto l'invito. Lei, signor prefetto, è stato convocato da questo Comitato al fine di riferire allo stesso i fatti a sua conoscenza, o a conoscenza dell'ufficio che lei presiede, in riferimento ai fatti di Genova in occasione del G8.
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Le do senz'altro la parola.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Grazie, signor presidente, onorevoli membri del Comitato. Ho anticipato ieri l'invio di alcuni documenti, che si compongono di tre fascicoli di una storia, la quale ha anche un titolo: «Verso il G8». Una storia che è stata scritta dal mio ufficio, man mano che passavano i mesi, o le settimane. Pensammo di adottare il sistema del diario proprio per non perdere di vista la preparazione del G8, durante il lungo tempo che avremmo dovuto vivere.
Iniziammo il 4 dicembre 1999, senza, ripeto, perdere la memoria, ma anche senza correre il rischio che non venissero evidenziati eventuali contraddizioni o cambiamenti di rotta. Quindi, questi sono documenti d'ufficio, ma sono stati redatti proprio per debito di servizio e di documentazione.
L'ultimo si chiude alla data del 18 luglio, perché in quella data si sono compiuti gli ultimi atti di pianificazione, programmazione e verifica. Questo stacco sta, poi, a significare che per i giorni 19, 20, 21 e 22 luglio, c'è un'altra storia da scrivere. Questa storia verrà scritta, in parte da questo onorevole Comitato, in parte dagli accertamenti dei magistrati, in parte dalle verifiche ispettive disposte dall'Amministrazione e sicuramente in parte anche da chi ha il dovere di critica, di informazione e di comunicazione. In questo momento la stampa, le televisioni, i commentatori, sono tutti per così dire «a caldo». Penso che anche noi, come ufficio, riordineremo questo percorso e, nei limiti della coerenza di cui parlavo prima, l'ufficio sarà in grado di continuare e concludere la storia stessa.
È importante per me esplicitare il desiderio di essere più che trasparente, perché avvertii fin dall'inizio - sono quelle sensazioni che si hanno dopo 41 anni di mestiere - che
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bisognava capire subito quali obiettivi ponesse, una scelta così importante che l'allora Presidente del Consiglio dei ministri mi confidò qualche giorno prima e, successivamente, comunicò pubblicamente alla città, nel corso di una conferenza stampa, tenutasi appunto il 4 dicembre 1999.
Per Genova significava qualcosa di eccezionale. A Genova, ove opero da sei anni, si sono vissuti gli ultimi anni immersi in una serie di problemi enormi dal punto di vista dell'economia, del lavoro, delle certezze e, ancora adesso, si vive un momento di particolare drammaticità per il futuro industriale: mi riferisco alla siderurgia di Genova. Genova aveva alle spalle un'esperienza non compiuta di celebrazioni colombiane: non compiuta dal punto di vista della progettualità, della redditività, della gestione di alcuni «gioielli», che si erano recuperati, quali il Palazzo ducale, i magazzini del cotone, il teatro Carlo Felice. Cercava, quindi, per così dire, di «piazzare il prodotto», in vista della réclame che il 2004, anno in cui sarà città europea della cultura, avrebbe indotto sul recupero di un immenso patrimonio artistico e culturale della città. Capisco che, dopo, la delusione è stata fortissima. Per fortuna nessun bene artistico o culturale è stato sfiorato, non solo dalle violenze che si sono registrate nei giorni dell'evento, ma neanche prima, sia pure sotto forma di attentati dimostrativi, di scritte sui muri quant'altro.
Questo fu il clima. Per fare ciò occorreva una legge e il Governo, il 5 febbraio, presentò un disegno di legge (siamo quindi vicinissimi all'inizio dell'anno 2000) che mutuava qualche riferimento ai precedenti storici in modo particolare alla cosiddetta legge per Napoli, ma che prevedeva molte diversità. Si dovette, pertanto, attendere il completamento dell'iter parlamentare, che non arrivava; allora gli onorevoli deputati e senatori della Liguria si riunirono, sollecitati personalmente
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dal sindaco. Insomma, sapete benissimo che una legge speciale che doveva realizzare cose così urgenti, giunta al mese di giugno lasciava spazio soltanto a 10 mesi per la realizzazione di un impianto per circa 200 miliardi di opere. Si era certi che non fosse la volontà a mancare, ma che in quel momento il Parlamento subisse un certo rallentamento (era in corso la campagna elettorale per le regionali, si preferì non adottare decreti-legge da convertire). Comunque eravamo tutti fiduciosi che la legge sarebbe stata approvata; passò con voto quasi unanime (un solo voto contrario) e cominciammo subito a lavorare; perché l'impianto della legge prevedeva una amplificazione dei compiti del prefetto, la creazione di una struttura di governo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri; dovremmo aspettare poi il 2 febbraio dell'anno 2001, quando il Presidente del Consiglio decise di delegare il ministro degli affari esteri a continuare in questa attività, ma la prima fase ha visto sempre la collaborazione, la direzione e la guida della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Questo cosa significava? Che per un prefetto, nella qualità anche di commissario del Governo (altra novità fondamentale recata dalle norme che il Parlamento ha di recente approvato), fare da trait d'union era la cosa più naturale e più facilmente percorribile. Ciò perché il prefetto si doveva occupare dei cantieri, dell'accoglienza, servendo la struttura servente, e doveva occuparsi della sicurezza; quindi tre compiti e tre ruoli attribuiti alla medesima persona fisica la quale aveva il Governo come proprio interlocutore e non trascurava di interloquire necessariamente - se non addirittura obbligatoriamente - con tutte le realtà istituzionali locali; quindi non solo con quelle tradizionali come la regione, la provincia ed il comune, ma anche con l'autorità portuale (cosa di non poco rilievo), certamente con la camera di commercio, certamente
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con le associazioni rappresentative delle categorie più significative, che poi si sarebbero trovate a condividere pregi e virtù di un evento internazionale; bisognava poi interloquire con nuovi «contributi», perché la legge n. 149 del 2000, così come approvata nel testo originario, prevede che il prefetto debba avere per quel giorno a disposizione (quindi il prefetto si preordina prima) esercito, aeronautica e marina: non è che tali cose uno le attiene come se fossero auguri di Pasqua o di Natale.
Vi fu una scelta sulla quale si rifletté a lungo, perché poi non bastava dire che sarebbero venuti la marina, aeronautica e l'esercito: chi è più esperto di me (ed io lo sono diventato un pochino strada facendo) sa benissimo che esistono regole di ingaggio, regole particolari. Pertanto quei precedenti di concorso delle Forze armate in servizi di ordine pubblico sono comunque poca cosa rispetto al concorso di tutte le Forze armate; questo vuol dire che anche il Parlamento era consapevole che vi fossero rischi ben diversi dai moti di piazza, ben diversi da ciò che può fare un gruppo violento su strada, ma rischi che sono sempre stati definiti rischi da terrorismo - anche internazionale - o da comportamenti eversivi. Questa è la ragione per la quale il Governo ed il Parlamento preordinano una risorsa, ma fare questo significa dare il tempo alla risorsa di organizzarsi, di distogliersi da interventi per la pace che sono in corso in altri paesi del mondo, di iniziare a preordinare (chiaramente l'organizzazione militare ha tempi consoni con questo tipo di preparazione) e far sì che tanti vertici e tanti livelli di comando, si fondano in un'unica grande ed armoniosa realtà. Di conseguenza vi furono riunioni a non finire, naturalmente sia di natura tecnica sia di natura politica
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(intendo dire in senso stretto), nelle quali si cercava di capire cosa bisognasse difendere e dove bisognasse - come si suol dire - andare a parare.
In alcuni verbali del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica o di riunioni di servizio (quelli più importanti che avevo a portata di mano li ho già consegnati a questo Comitato) si leggono delle date: eravamo ad agosto! Il 7, l'11 e il 23 di agosto del 2000 stavamo già "pensando positivo" e questo perché? Perché vi era la necessità di verificare, passo dopo passo, le previsioni rispetto all'obiettivo. Perché vi era questa esigenza? Perché bisognava armonizzare l'attività sul territorio, quella della struttura di missione (ricordo che questo organismo era presso il Governo centrale), e la pianificazione della sicurezza non poteva prescindere (come mai sarà possibile) dalla conoscenza dei rischi che ciascun Capo di Stato o di Governo corre prima di tutto nel suo paese. A mio avviso questo aspetto viene ampiamente compreso da un prefetto: tutte le volte che un Capo di Stato viene in visita - anche di piacere - in Italia, siamo a conoscenza in anticipo del programma che si svolgerà in Italia, tra visite formali e ufficiose, e scattano meccanismi di protezione enormi. Questo vuol dire anche che vi è una reciprocità: quando il nostro Capo dello Stato va all'estero subisce lo stesso trattamento. Tutto questo comportava una serie di scelte: i luoghi ove alloggiarli, ove lavorare, ove eventualmente trascorrere il tempo libero - che poi non vi è stato - ed i luoghi per eventi spettacolari (neanche questi vi sono stati). Nasceva quindi il bisogno di progettare la sicurezza che partiva dal levante (Tigullio) e andava a ponente (verso Arenzano): si presentava uno scenario territoriale che era il doppio o il triplo di quello che poi si è
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concretizzato nella realtà. Ecco perché all'inizio vi fu una valutazione di ordine temporale molto diversa e molto più articolata.
In seguito le delegazioni molto lentamente mi fecero conoscere le loro scelte utilizzando il tramite unico del segretario generale della Farnesina, Vattani (come è costume, regola e prassi nel nostro ordinamento amministrativo); arriviamo poi quindi - come ho scritto - a definire che tutti i Capi di Stato e di Governo avrebbero alloggiato su una nave e, a fianco, in un albergo quasi galleggiante, ma in muratura, il Presidente di Stati Uniti d'America Bush.
A questo punto, abbiamo il quadro completo della situazione. Questa è la storia, seppure raccontata velocemente. Ho accompagnato questi primi documenti con un appunto (scusatemi se impertinentemente l'ho chiamato appunto; forse avrei dovuto definirlo relazione, ma è proprio un appunto, una falsariga) in cui ricordo tale percorso così come ve l'ho espresso e naturalmente lo ricordo anche in funzione degli obiettivi che sono stati raggiunti. Infatti, raccontare una storia e non sapere come si è conclusa significa solo provocare curiosità.
Il compito del prefetto era proprio quello di garantire al Governo nazionale e, tramite quest'ultimo, ai Governi dei paesi che compongono il vertice, il risultato della incolumità di tutti i partecipanti, dal giornalista al delegato, dal Capo di Stato al suo seguito, nell'arco di più giorni: non dimentichiamo che era previsto anche un incontro dei ministri degli esteri che avrebbe completato la settimana e che i primi Capi di Stato sono arrivati il 19 luglio; si trattava quindi delle giornate del 19, 20, 21 e 22 luglio. Occorreva garantire l'incontro bilaterale fra Bush e Putin nella giornata di domenica - se ne è parlato poco, ma credo che per loro e per tutto il mondo fosse un
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incontro importantissimo - e assicurare la presenza di altri 13 Capi di Stato e di Governo dei paesi meno fortunati; tutto ciò in un'area della città che non è un box o un recinto, ma è, a sua volta, una città capace normalmente di ospitare anche 50.000 persone. Comunque, i 35.000 permessi rilasciati dal questore stanno a significare che 35.000 persone hanno continuato a vivere regolarmente nella città vecchia di Genova, vecchia perché Genova partiva dal Bisagno e finiva alla Lanterna (tanto per ricordare anche una parte della topografia).
Pertanto, occorreva verificare se al termine del vertice ciascuno, nel voltare le spalle a Genova, stesse provocando nuvolette di fumo o stesse camminando in maniera quieta. Sono saliti tutti sui loro aerei e l'aeroporto ha funzionato a meraviglia. Si tratta di un aeroporto piccolo e tutti dicevano che non si sarebbe mai riusciti a farvi atterrare un grande aereo. Invece, ha mostrato di essere perfettamente all'altezza e sicuro, tant'è che tutti sono partiti; qualcuno dirà anche che si è lavorato bene, ma credo che tale giudizio non spetti al prefetto.
Questo obiettivo, dunque, andava raggiunto non attraverso l'impenetrabilità di un qualcosa di astratto, ma garantendo a ciascun Capo di Stato e di Governo ospite nel nostro paese il diritto di espletare il proprio dovere di Capo di Stato o di Governo che lo aveva portato a Genova.
La prerogativa del Governo italiano è di essere coerente con la scelta inizialmente operata dal Presidente del Consiglio D'Alema e poi coltivata dal Presidente del Consiglio Amato, il quale il 10 gennaio - qualcuno lo ricordava - nel presentare il logo del G8 non mostrava un simbolo ma l'anno di Presidenza italiana del vertice. Ciò per evitare un equivoco: non si trattava di una riunione per presentare una bozza ma
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di un incontro per la presentazione ufficiale dell'anno di Presidenza italiana. Quel giorno egli incontrò il prefetto, il presidente della regione, il presidente della provincia, il sindaco e il capo della struttura di divisione, il ministro plenipotenziario Vinci Giacchi e, alla presenza dei funzionari e del segretario generale di palazzo Chigi, disse che avrebbe inviato una lettera. In tale lettera - che fu scritta il 19 gennaio, inviata a tutti ed a me per conoscenza - egli ci invitava a lavorare insieme e bene ed indicava la sede prefettizia come luogo di incontro per la concertazione di ciò che a gennaio fosse ancora necessario definire.
Credo che queste cose vadano dette, perché poi mi saranno rivolte alcune domande alle quali vorrò rispondere. Concludo il mio, spero breve, intervento, proprio perché esso è riassunto in questo appunto, in buona parte dei documenti che ho rassegnato e in quant'altro eventualmente mi sarà richiesto e, se del caso, depositerò.
PRESIDENTE. Grazie, signor prefetto. Mi pare di aver compreso che lei ci consegna tre volumi: sono gli stessi che ha già depositato?
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Sì, signor presidente. Sono gli stessi che vi ho già inviato; queste sono ulteriori copie.
PRESIDENTE. Ritenevo che fossero documenti diversi da quelli già consegnati.
Prima di dare la parola ai membri del Comitato, poiché lei ha fatto riferimento ad un quarto volume che è in corso di elaborazione, ci può anticipare quali presume siano i tempi di ultimazione dello stesso per poterlo poi eventualmente distribuire al Comitato?
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ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Signor presidente, ho detto che il terzo fascicolo si conclude con la giornata del 18 luglio, immaginando che poi vi sarebbe stato un volume relativo ai giorni successivi del 19, 20, 21 e 22 luglio. Tuttavia, non è possibile che la storia di quei giorni sia scritta in questo momento dal prefetto, perché una parte di quella storia dovrà scriverla la magistratura, una parte la deve scrivere l'amministrazione attraverso l'esercizio dei suoi poteri ispettivi ed una parte la scriverà questo onorevole Comitato.
Il prefetto sicuramente riferirà ciò che è accaduto nei giorni 19, 20, 21 e 22 luglio, sulla base delle risultanze di queste indagini che - come ho detto in conclusione della mia relazione - mi sono ignote, perché sono necessariamente estranee alla competenza del prefetto. In altri termini, il prefetto non deve conoscere - non si tratta di una facoltà ma di un dovere - ossia non deve conoscere le risultanze dell'autorità giudiziaria prima che esse vengano rese pubbliche e non deve conoscere gli esiti dell'amministrazione prima che la stessa le renda pubbliche. Non sono, infatti, in possesso di alcun atto dell'autorità giudiziaria né delle relazioni delle visite ispettive disposte dal capo della polizia che, viceversa, so essere state consegnate a questo Comitato.
PRESIDENTE. Vorrei rivolgerle un'ultima domanda: fornirà al Comitato ciò che lei ha definito appunto o relazione?
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Sì, signor presidente. È allegato alla lettera di ieri.
PRESIDENTE. La ringrazio, signor prefetto. Do ora la parola ai membri del Comitato che intendano intervenire.
ANDREA PASTORE. Signor presidente, ringrazio il prefetto di Genova per la sua relazione, anche sobria, peraltro accompagnata
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da una mole di documenti che ci consentiranno di approfondire la situazione determinatasi prima dell'effettivo avvio del vertice G8.
Probabilmente da questa documentazione - ma vorrei che il prefetto sul punto ci desse qualche ulteriore delucidazione - emergerà una fase di accreditamento del GSF che, improvvisamente, è apparso sulla scena politica ed istituzionale in un momento che, sinceramente, risulta ancora oscuro al Comitato, ma che certo verrà approfondito nel corso dei lavori.
L'accreditamento non riguarda solo l'ascolto, la considerazione, la valutazione, ma anche la legittimazione sostanziale, la rappresentatività di un coacervo di associazioni che gli altri soggetti istituzionali auditi hanno confermato essere molto variegati e diversi tra loro. Tutto ciò ha determinato dei rapporti politico-istituzionali che hanno generato situazioni che poi sono risultati al di fuori di ogni controllo.
Abbiamo potuto apprendere, tramite le audizioni del sindaco e del presidente della provincia, che vi è stato, da parte di questo organismo, anche uno scambio di corrispondenza con la prefettura. Stranamente ho notato, salvo migliore valutazione, che tutta questa corrispondenza è risultata priva di qualsiasi sottoscrizione e che alla fine, nei saluti di rito, vi è l'elenco di decine e decine di associazioni aderenti. Non vi è mai l'individuazione di un soggetto responsabile che, nel nostro ordinamento, è assicurato anche dalla sottoscrizione di atti.
Vi sono verbali relativi ad affidamenti di strutture a rappresentanti - non so come individuati - di questa organizzazione, con firme di soggetti che si qualificano rappresentanti, ma che, sinceramente, non so quale rappresentanza e quale titolo abbiano.
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Vi è stata una situazione che ha dato luogo a difficoltà nei controlli, soprattutto nei luoghi pubblici dove si trovavano i manifestanti. I soggetti consegnatari non si sono sentiti responsabilizzati e non hanno certamente - da quello che ci è dato sapere - contribuito a che certe presenze venissero isolate ed in qualche modo sottoposte a verifiche da parte delle autorità competenti. Credo sia necessario approfondire questo processo perché indubbiamente è un dato che va attentamente analizzato per comprendere la dinamica dei fatti sotto il profilo - diciamo così - delle responsabilità politiche, istituzionali e di altro genere che il Comitato è chiamato non ad imputare ma, quanto meno, a sottolinearne l'eventuale consistenza.
La seconda questione è relativa al livello delle violenze e dei danni subiti dalla città di Genova. Una parte delle dichiarazioni provenienti soprattutto dal sindaco della città hanno teso a minimizzare sia la portata delle violenze alla zona rossa - il sindaco ha parlato di assedio virtuale, simbolico e così via - sia i danni arrecati alla stessa città: automobili bruciate, vetrine infrante, principi di incendio relativi a fabbricati adibiti ad uso abitativo.
Dall'altro lato, invece, da parte dei responsabili dell'ordine pubblico, in particolare dal capo della polizia De Gennaro e dal comandante dei carabinieri, c'è stata data una rappresentazione diversa. Essi hanno sottolineato come le violenze, i danni alla città di Genova e l'assedio alla zona rossa non abbiano riscontro negli annali delle manifestazioni realizzate in occasione di questi vertici internazionali.
Vorrei che il prefetto, testimone oculare ed autorevole, se possibile - mi rendo conto della sua delicata posizione - ci rilasciasse una valutazione di questa realtà, affinché il Comitato sia messo in condizioni di capire meglio, al di là ed oltre
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le immagini televisive, quello che è successo e di conseguenza comprendere di più il quadro complessivo nell'ambito del quale si sono svolti gli eventi relativi al vertice di Genova.
GRAZIELLA MASCIA. Signor prefetto, nella sua relazione di oggi lei ci ha confermato che l'obiettivo fondamentale era quello di difendere - diciamo così - il vertice con tutti quei programmi e quelle articolazioni che poi, strada facendo, sono stati anche modificati. Credo che in base a questo sia stato stilato il progetto - non so come chiamarlo - per consentire la realizzazione del vertice.
Rispetto a questo progetto, che ho letto ieri sera, vorrei capire meglio alcuni aspetti. Ho compreso qual è stata la gestione effettiva di quei giorni e quello che, mi sembra, sia stato il lavoro di intelligence preparato da lunghi mesi e che ha consentito, sulla base delle esigenze del vertice, di arrivare a definire il progetto.
Vorrei farle delle domande. Ieri abbiamo compreso, attraverso le relazioni presentate dai responsabili delle forze dell'ordine, la responsabilità primaria sul piano politico ed operativo del prefetto e del questore riguardo la gestione. Vorrei chiederle chi coordinava e chi erano i responsabili della sala operativa interforze che hanno governato la situazione. Quale tipo di rapporto ha intrattenuto il prefetto con la sala operativa e con il Ministro dell'interno nei giorni 19, 20 e 21 luglio? Quante riunioni del comitato provinciale dell'ordine e della sicurezza si sono tenute sulla questione relativa alla gestione dell'ordine pubblico per il G8 dopo il 6 giugno? Se non ho letto male i documenti, i verbali si fermano alla giornata del 6 giugno; non escludo che ieri sera potrei non aver sufficientemente colto elementi successivi.
Ci è stato confermato ieri - mi pare che ciò sia compreso anche nei documenti che lei ci ha fornito - il tipo di
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coordinamento stabilito tra le nostre forze di polizia e quelle degli altri paesi, anche attraverso l'utilizzo dei servizi e dell'intelligence.
Vorrei chiederle se, in quei giorni, questi coordinamenti hanno contribuito all'elaborazione delle direttive ed alle eventuali modifiche alla gestione dell'ordine pubblico.
Lei, signor prefetto, sulla base delle esigenze del vertice, mi pare abbia emanato delle ordinanze che istituivano divieti e limitazioni. Attraverso tali ordinanze è stata istituita la zona rossa, la zona gialla ed una zona verde che ho trovato ora in questi documenti e della quale non ero a conoscenza; tutto ciò sulla base delle informazioni che avevate avuto.
Oggi come valuta questo progetto? A consuntivo ho verificato che una serie di elementi, anzi la stragrande maggioranza delle informazioni che sono state fornite e che hanno supportato questo progetto non si sono quasi per nulla verificate, ad eccezione di aspetti particolari.
Si sono invece verificati altri fenomeni non previsti come, ad esempio, quello relativo ai cosiddetti black bloc e fenomeni che, pur previsti, sono stati trattati in modo assolutamente incompleto rispetto a quello che poi è accaduto a Genova. L'attività informativa sulla quale è stato costruito il progetto per il 90 per cento si è rivelata inadeguata.
Ho letto su un quotidiano di ieri una storia completa e molto interessante sull'origine dei black bloc. Forse una migliore informazione avrebbe consentito di potersi attrezzare diversamente, non solo per consentire la realizzazione del vertice, ma anche per difendere il diritto dei partecipanti a manifestare. Alla fine infatti il vertice si è potuto tenere ma, al contempo, non si sono difesi i diritti di 300 mila persone.
In base a tutto ciò vorrei farle un'altra domanda.
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Voi avete riferito qui, tra le altre cose, sempre a proposito delle relazioni dell'intelligence, informazioni provenienti dalle fonti fiduciarie. A questo proposito, le chiedo anche una conferma: quali sono queste fonti, come sono state individuate, come sono state modificate in corso d'opera? Si dice: fonti fiduciarie dicono che c'erano 25-30 persone che provenivano da Torino e che si sarebbero infiltrate tra le tute bianche. Poiché queste tute bianche, poi, sono state parte del Genoa social forum con cui avete interloquito e poiché parliamo di 25-30 persone - e presumo che abbiate i nomi e i cognomi -, vorrei chiederle se avete avvisato il Genoa social forum del rischio che potevano correre.
FILIPPO ASCIERTO. Rischio?
GRAZIELLA MASCIA. Certo. Se parliamo di infiltrazioni con finalità ben precise - e vi chiedo di leggere questi aspetti -, forse, se si vogliono evitare i problemi, ciò si può comunicare.
Vorrei chiedere: l'unico piano operativo che è stato predisposto è quello di cui ci avete dato copia, cioè l'ordinanza di servizio n. 2143 del 12 luglio, oppure successivamente è stato modificato qualcosa? Vorrei chiederle se nella gestione dell'ordine pubblico, dopo gli eventi del 20 luglio, tra il 20 ed il 21, sia cambiato qualcosa. Vorrei farle una domanda circa la dislocazione delle forze di polizia durante il corteo del 21 luglio: qui abbiamo elementi precisissimi, con responsabilità precise. Vorrei chiederle chiarimenti, poiché io non ho visto le cose che qui sono scritte; ieri l'ho chiesto al capo della polizia, il quale ha detto che la gestione non era di sua competenza. Vorrei chiederle se lei sia a conoscenza della ragione per cui queste cose non si sono verificate.
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Infine - e ho davvero concluso - vorrei fare alcune domande rispetto al Blitz alla scuola Diaz ed alla questione della caserma di Bolzaneto. Qual è stata la sua partecipazione, sia in termini di conoscenza sia in termini di gestione, per quanto riguarda la perquisizione nella scuola? Chi era il responsabile dell'operazione e quale rapporto lei ha potuto tenere con gli ufficiali di polizia in quel contesto? Vorrei, inoltre, sapere, se lei ne è a conoscenza, perché nella perquisizione sia stato utilizzato il reparto del servizio operativo comandato dai funzionari Gratteri e Calderossi e chi fossero i responsabili per la gestione delle persone arrestate presso le caserme di Forte San Giuliano e Bolzaneto. Grazie.
GIANNICOLA SINISI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Sinisi.
GIANNICOLA SINISI. Signor presidente, intervengo perché sono ancora le 10,20 del mattino e forse può essere utile una sua determinazione al riguardo. Ieri abbiamo potuto assistere all'audizione del capo della polizia, in cui ad una esposizione di circa un'ora del capo della polizia ne è seguita un'altra di circa tre ore da parte dei commissari per formulare le domande. Io le chiedo di trovare una soluzione affinché questo dibattito e queste audizioni si possano svolgere in modo regolare e proficuo o attraverso un contingentamento dei tempi o attraverso un'organizzazione dei lavori basata su domanda e risposta.
PRESIDENTE. Onorevole Sinisi, non le vorrei togliere la parola ma ho già parlato ieri di questo. Forse lei era distratto.
GIANNICOLA SINISI. No, no, io c'ero.
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PRESIDENTE. Ho detto ieri che l'ufficio di presidenza di questa sera avrebbe provveduto in questo senso. La ringrazio. Ho capito il problema, che si ripropone. Mi auguro che, questa sera, i componenti dell'ufficio di presidenza possano convergere circa la metodologia da seguire.
FILIPPO MANCUSO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Prego, onorevole Mancuso.
FILIPPO MANCUSO. Signor presidente, torno sull'argomento di ieri ed integro le osservazioni del collega. Torno a segnalare l'opportunità, prima che giunga la sera, che lei stabilisca se continuare nel non proficuo metodo di ieri, cioè di riferire le risposte alla fine - cosa che non è avvenuta naturalmente -, o, piuttosto, di fare dei lotti di domande e di risposte e concentrare gli argomenti sollevati in modo che siano tutti intelligibili e che rendano tesa l'attenzione che ieri, purtroppo, è andata scemando man mano che la stanchezza sopraggiungeva. La prego, signor presidente, di valutare seriamente questa sollecitazione.
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Mancuso. Per dividere in blocchi le domande, però, occorrerebbe che io conoscessi subito i nomi dei colleghi che intendono intervenire, per far sì che io possa mettere nel blocco tutti i rappresentanti dei gruppi. Le faccio l'esempio di questa mattina: io ho cinque richieste, di seguito, di componenti di Forza Italia. Ciò non mi sembrerebbe opportuno. In questo senso, intendo procedere come abbiamo fatto negli altri giorni, chiedendo ai colleghi di collaborare e di limitarsi veramente alle domande. Per oggi, credo che possiamo procedere con questo metodo, lasciando
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alla vostra sensibilità il tipo di domanda ed anche il tempo che ritenete di impiegare per le domande stesse. Se dovessimo decidere di cambiare il metodo nel corso dell'ufficio di presidenza, relativamente ai blocchi, credo sia opportuno adottare un sistema per cui essi siano comunque in rappresentanza dei gruppi. Altrimenti si corre il rischio di dare anche all'esterno l'impressione di una parzialità delle risposte cui l'ospite è tenuto. La ringrazio, comunque, onorevole Mancuso. Questa sera affronteremo anche questo tipo di problema.
All'onorevole Boato, che si accinge a porre domande al prefetto, segnalo l'esigenza emersa questa mattina.
MARCO BOATO. Signor presidente, non intendo intervenire sull'ordine dei lavori, però è la prima volta che verifico in un Comitato d'indagine - ed ho fatto parte di altre Commissioni, anche d'inchiesta -, un tentativo, da parte dei membri del Comitato, di autolimitare il proprio lavoro. È la prima volta che mi succede: ho fatto parte di Commissioni su terremoti, stragi, terrorismo, Ustica ed altre ed è la prima volta che assisto a questo sforzo di autolimitare il nostro lavoro.
Detto questo, signor presidente...
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.
MARCO BOATO. Se la collega vuole parlare prima di me, io non ho difficoltà.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Avevo chiesto di parlare sull'ordine dei lavori, signor presidente, ma lei non mi ha visto quando ho richiesto la parola.
MARCO BOATO. Siccome non vorrei disturbare la collega mentre parlo....
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MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Prego, onorevole Boato.
MARCO BOATO. Grazie, signor presidente. Volevo ringraziare il prefetto Di Giovine per l'imponente lavoro che ci ha fatto avere, lavoro suo, dei suoi uffici e di cui, ovviamente, si assume qui la responsabilità. Io l'ho trovato veramente straordinario, perché durante altre esperienze non identiche, ma comunque relative a problemi molto complessi, non mi era mai successo di trovare una documentazione così analitica, così dettagliata su tutti gli aspetti della vicenda che in questo caso abbiamo da affrontare: quella del G8.
Signor Presidente, noi abbiamo ricevuto questo materiale ieri, nel corso dei lavori; personalmente, ho potuto esaminarlo ieri sera e stanotte. Confesso che non sono riuscito a leggere tutto, ma molto.
Da tutti i verbali che lei ci ha dato, signor prefetto, dalla documentazione, dal grosso volume che viene dal suo ufficio di gabinetto - ordinanze di servizio, diciamo -, si ricostruiscono tutti i vari passaggi. Partiamo dal punto di vista di che cosa si potesse fare per organizzare al meglio il vertice del G8, perseguendo i tre obiettivi che sono stati più volte ripetuti: garantire che il vertice G8 si svolgesse, cosa non banale visto che in altre occasioni altri vertici si sono interrotti, e che si svolgesse nella massima sicurezza; garantire la sicurezza dei cittadini; garantire il libero svolgimento di manifestazioni pacifiche e, contestualmente, contrastare le manifestazioni non pacifiche, cioè gli atti di violenza o, addirittura, gli atti di guerriglia urbana. Mi pare che tutto questo, dal punto di vista della fase di preparazione, sotto ogni profilo, risulti documentato in modo assolutamente ampio, dettagliato ed anche - debbo dire - con molta efficienza.
Ovviamente, se noi stiamo svolgendo - come lei del resto ha ricordato alla fine della sua breve relazione orale, visto che
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ci ha dato molti documenti scritti - un'indagine conoscitiva, è perché, nelle giornate del 20 e del 21, non sotto il profilo dello svolgimento del vertice, che è avvenuto in assoluta sicurezza, ma sotto il profilo di ciò che si verificava al di fuori del vertice e della zona rossa, le cose sono andate diversamente da quello che si poteva auspicare.
Io sono d'accordo con lei, signor prefetto, sul fatto che lei non deve interferire con l'attività dell'autorità giudiziaria e lei stesso si è rimesso anche all'attività conoscitiva di questo Comitato. Però, se il presidente e noi abbiamo deciso di ascoltarla, è perché vogliamo che ci dia un contributo in questa attività conoscitiva. Dai documenti fornitici io riscontro che c'era la consapevolezza dei problemi che avrebbero potuto verificarsi e delle difficoltà da affrontare sotto il profilo dell'ordine pubblico, da una parte, e della tutela dei diritti costituzionalmente garantiti, dall'altra.
Io cito soltanto, perché lei abbia i riferimenti - questo me lo segnalava poco fa il senatore Turroni, perché non ero riuscito ancora a leggerlo -, il verbale dell'incontro di servizio presso la prefettura del 12 aprile 2001. A pagina 3 di questo verbale, in basso si dice: sotto questo profilo non è quindi tanto importante l'aspetto della contemporaneità degli eventi quanto piuttosto l'appesantimento dell'attività delle forze dell'ordine, che devono tendere ad impedire che si inseriscano nelle manifestazioni pacifiche elementi portatori di violenza che devono essere discriminati. Discriminazione che appare profilarsi più che altro se si dà ascolto ai segnali che da più parti dicono e riassumono che i futuri protagonisti di atti di violenza tenderanno a dissimulare, a non farsi individuare, senza usare gli abituali mascheramenti.
Nel verbale di una seduta che - devo dire - non ci era mai stata riferita da altri soggetti, ma che vedo qui, oltre ai
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comitati provinciali dell'ordine pubblico, vedo che il 26 giugno - penso opportunamente - si è tenuta anche una conferenza regionale sull'ordine della sicurezza pubblica, a cui parteciparono il vicecapo della polizia Andreassi, il comandante regionale dei carabinieri, quello regionale della finanza e tutte le altre autorità che di solito partecipano ai comitati provinciali - dal prefetto, al questore, ai comandanti provinciali - ma ha una dimensione più vasta. In questa occasione, il vicecapo della polizia dice: al momento, l'attenzione è focalizzata sui movimenti portatori di opinioni di dissenso sui temi del vertice, che mirano ad ottenere in forme pacifiche e talvolta violente la massima visibilità e il coinvolgimento dell'opinione pubblica. Il fenomeno in forte espansione investe in modi trasversali diversi schieramenti, dai cattolici agli anarchici. Il movimento antiglobalizzazione si mostra con un incremento di manifestazioni (Seattle, Göteborg, e così via).
Anche qui, non leggo tutto il resoconto che è - devo dire - molto puntuale e anche molto eloquente al riguardo: il 26 giugno, quindi a distanza ancora (l'altra era di aprile) di 20 giorni circa (sì, qualcosa di più di 20 giorni) dai momenti cruciali del vertice e delle concomitanti manifestazioni, il vicecapo della polizia espone a voi, alla conferenza regionale sull'ordine pubblico, la problematica che sarà il clou dell'aspetto del secondo e del terzo obiettivo (il primo obiettivo è garantire la sicurezza ed il libero svolgimento del G8).
Analoghe considerazioni o rilievi trovo nei tre fascicoli del diario che lei ha citato. A pagina 11 del secondo fascicolo - considerazioni - leggo: il problema delle manifestazioni di dissenso è stato fin dall'inizio oggetto di una particolarissima attenzione; non ci sono problemi per altri aspetti, il problema invece sussiste in ordine a una serie di iniziative che dovrebbero svolgersi nella settimana tra il 15 ed il 22 luglio, in
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concomitanza con il vertice o a stretto ridosso. Vado a pagina 13: anche se la volontà di diversi organizzatori delle varie manifestazioni è univoca, nel senso di rifiutare qualsiasi atto che non sia ispirato a sentimenti pacifisti, contemporaneamente, da tutti viene espressamente affermato il concetto di non essere in grado di contenere eventuali forme di violenza, che soltanto alle forze dell'ordine spetta di contrastare. Signor presidente, siamo nel fascicolo 2, 11 aprile -10 giugno 2001, alle pagine 11, 12 e 13 e devo dare atto, anche in questo caso, del fatto che queste ricostruzioni danno la consapevolezza che le problematiche (che poi, ahimè, sono esplose il 20 e il 21 e che non hanno avuto invece il corrispettivo operativo che veniva ipotizzato), erano però non disconosciute; non erano neppure sottovalutate - per quel poco che io sono riuscito a vedere, perché non ho letto tutto -, ma tutto questo nella preparazione. La stessa cosa trovo nel fascicolo numero 3, a pagina 9, dove però si dice: con l'insediamento del nuovo esecutivo veniva da subito individuata la linea operativa da intraprendere con gli esponenti del Genoa social forum: l'apertura al dialogo ed il conseguente stanziamento di un fondo pari a 3 miliardi.
Sottolineo questo aspetto non perché io sia critico, ma perché qui c'è, a volte, lo debbo dire impersonalmente, un gioco, da una parte, teso a criminalizzare il Genoa social forum, dall'altra parte a dimenticare che c'è stato un dialogo istituzionale. Credo che il dialogo istituzionale sia stato correttissimo - mi sono complimentato con il ministro degli esteri e dell'interno prima del vertice G8 per aver adottato questa linea -, il problema era poi come concretizzare queste preoccupazioni nei giorni 20 e 21.
Da ultimo, il fascicolo grosso - non so se lei lo chiami tecnicamente: ordinanza di servizio -, che era originariamente
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riservato e che a posteriori è stato declassificato. Anche questo io lo trovo di grandissimo interesse per questa parte che ci interessa, non per le altre parti che hanno avuto ordinaria o forse straordinaria attuazione e sono state assolutamente efficienti. Noi abbiamo da pagina 29 in poi i paragrafi 1 e 2 - informazioni sul fronte della protesta anti G8 -. Qui, tra l'altro, volevo dire al presidente Pastore che quando si parla delle varie manifestazioni sono sempre individuati dei nomi di persone o di gruppi che chiedono anche per conto del Genoa social forum; quando si parla della manifestazioni di immigranti si dice: Stefano Kovac, Massimiliano Morettini, Roberto Demartis, in nome e per conto del Genoa social forum, hanno preavvisato..., eccetera; cioè, i nomi ci sono addirittura in questo fascicolo; poi ci sono le attività informative e la distinzione tra i vari blocchi all'interno dei movimenti, le possibilità di interventi a livello internazionale, le segnalazioni di particolare interesse. Quella che il senatore Iovene chiede in continuazione è qui scritta a pagina 34 (quella riguardo a Forza nuova e al Fronte nazionale): tale gruppo è in possesso di armi da taglio, avrebbe come obiettivo principale colpire, nel caso in cui si dovessero verificare incidenti, i rappresentanti delle forze dell'ordine, screditando contestualmente l'area antagonista di sinistra anti G8. È scritto in questo gigantesco volume, a pagina 34.
Ho finito, presidente, però se non avessi fatto questa rapida ricognizione, che è il frutto di questo lavoro notturno, le domande rivolte al prefetto sarebbero state assolutamente banali. Per esempio, anche per quanto riguarda i centri di accoglienza, a pagina 41, sono indicate tutte le strutture e a chi sono destinate. In particolare, cito quelle che sono state oggetto di problemi: scuole Doria, Pascoli e Diaz di via Cesare Battisti, dal 15 luglio, segreteria tecnica, People House, scuola
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Pertini di via Cesare Battisti, dal 16 luglio appoggio alla scuola Pascoli. Lì abbiamo tre edifici: il Diaz e il Pertini confusi sistematicamente nelle cronache di questi giorni, e, di fronte, il Pascoli. Questo io ho capito. Non ci sono mai stato lì, ma ho capito finalmente come è fatto questo insieme di strutture. Sono previsti la segreteria tecnica, il computer, gli hard disk, il centro informativo; era tutto previsto nella fase organizzativa che lei ci ha così cortesemente dettagliato in questo materiale.
Ora, fatta questa ricostruzione, compresa anche questa segnalazione della svolta, con il nuovo esecutivo, di una più attenta dichiarazione di dialogo con il Genoa social forum - tanto che il 30 giugno vi è stata una riunione con il capo della polizia a Genova, anche questa dettagliata qui da qualche parte, che non vado a ricercare -, premesso che io non ho la minima obiezione su tutto questo perché lo trovo un lavoro serio, rigoroso, fatto bene e responsabile, come è potuto succedere - lo dico a lei in chiave conoscitiva, tanto non avremmo nessun potere accusatorio come un aiuto a questo Comitato -, ebbene, le chiedo come sia potuto accadere che questa consapevolezza dei problemi, che pure c'era e che è stata sistematicamente analizzata, si sia poi tramutata, nei giorni più drammatici e difficili del 20 del 21 (per esempio, il 21 è il giorno di una grande manifestazione preannunciata, in cui si sapeva che potevano esserci - lo si dice nel verbale addirittura il 12 aprile 2001 - fenomeni di infiltrazioni), in quello che è avvenuto in quei due giorni. La sensazione che si è avuta in quei due giorni - parlo solo di sensazione perché le conclusioni le tireremo alla fine - è che ci sia stato un eccessivamente basso contrasto nei confronti delle forme di guerriglia urbana e di aggressione violenta anche alle cose - quelle citate dal presidente Pastore nel suo primo intervento
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- ed una incomparabilmente elevata azione di repressione indiscriminata nei confronti dei manifestanti pacifici (perché poi tutta la questione nasce da qui).
Dalle relazioni - e ho concluso, le domando scusa presidente, ma il materiale era veramente imponente - che poi ci sono state fornite dal capo della polizia e da parte degli ispettori di polizia emerge: mancanza di struttura gerarchica, mancanza di responsabilizzazione, confusione dei ruoli, indeterminatezza delle competenze. Quindi, una quantità di problemi che, invece, nella fase di organizzazione sembrava non doversi verificare, vale a dire responsabilità, competenze. Cosa è successo, per quanto è a sua conoscenza, nei limiti di un'audizione in sede di indagine conoscitiva, (che non è una testimonianza giudiziaria, non è un'inchiesta, come il presidente le ha ricordato)?
Vorrei sapere quello che lei può dirci come contributo al nostro lavoro conoscitivo e come autorità provinciale di pubblica sicurezza - il prefetto è l'autorità tecnica, lei è l'autorità politica -; dunque, cosa può dirci per aiutarci a comprendere cosa è successo in quei due giorni, pur avendo su questi aspetti un lavoro imponente alle spalle che ha funzionato per tutto ciò che ha riguardato il vertice G8 nella zona rossa, ma che ha avuto clamorose défaillance relativamente ad altri aspetti, quali l'ordine pubblico e diritti costituzionalmente garantiti nel loro difficile intreccio nelle giornate del 20 e del 21.
Io mi scuso con il presidente....
PRESIDENTE. Si deve scusare con i colleghi, non con me.
MARCO BOATO. Mi scuso anche con i colleghi, ma tale ricognizione era utile.
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PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori la senatrice Ioannucci. Le do la parola.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Signor presidente, forse il mio intervento sarebbe stato più costruttivo prima dell'intervento dell'onorevole Boato...
PRESIDENTE. Perché, l'onorevole Boato ha demolito l'intervento?
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. ... visto che volevo, appunto, sottolineare la necessità di fare delle domande e non di fare dei comizi.
MARCO BOATO. Parli per se stessa!
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Onorevole Boato, io mi stavo domandando...
MARCO BOATO. Non si permetta!
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Onorevole, se lei si sente tanto toccato dalle mie parole...
MARCO BOATO. Ho passato tutta la notte a leggere le carte. Non si permetta di usare espressioni offensive nei confronti di...
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Presidente, se lei permette, vorrei la parola.
PRESIDENTE. Onorevole Boato, le do dopo la parola.
MARCO BOATO. No, non voglio la parola.
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MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Presidente, mi dispiace che l'onorevole Boato si senta toccato dalle mie parole, non intendevo assolutamente rivolgermi...Onorevole, io non intendevo minimamente, se lei si sente toccato dalle mie parole probabilmente...
ANTONIO SODA. Che intervento sull'ordine dei lavori è censurare gli interventi di un altro? Ma la smetta!
PRESIDENTE. Onorevole Soda, non le permetto di dire ad una collega «la smetta!». Le sarei grato... se è nervoso, si può fare un giro.
ANTONIO SODA. Io non sono affatto coinvolto!
PRESIDENTE. Allora deve stare zitto.
ANTONIO SODA. Qui la gente ha il diritto di parlare!
PRESIDENTE. Onorevole Soda, le darò la parola se chiede di intervenire, ma deve permettere di far concludere il discorso alla collega che lo ha chiesto.
ANTONIO SODA. Voglio capire su quale ordine dei lavori!
PRESIDENTE. Se non lo capisce, glielo spieghiamo dopo. Prego, senatrice Ioannucci.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Signor presidente, io mi chiedevo (Commenti del deputato Boato)...
Ho semplicemente detto che volevo sapere per me, volevo sapere per me, se gli interventi dovevano - e già avevo fatto ieri lo stesso intervento - limitarsi alle semplici domande oppure...
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ANTONIO SODA. No, uno può anche articolare le domande.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Credo che il presidente sia lei, non so poi a chi devo rivolgermi...
ANTONIO SODA. Esiste un regolamento, esistono delle regole in Parlamento!
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. Presidente, io sto chiedendo una regola cui attenermi.
ANTONIO SODA. Se lo legga, si legga la storia dei parlamenti!
PRESIDENTE. Credo che se lei ha chiesto (Commenti del deputato Boato)... Onorevole Boato, non capisco perché si riscaldi così tanto; deve stare zitto, perché sto intervenendo in risposta alla collega. Senatrice Ioannucci, se ha concluso, le spiego.
Ieri è accaduto lo stesso fatto, qui si tratta di decidere se vogliamo limitarci alle domande o se, giustamente - io lo ritengo più giusto, ma poi lo deciderà l'ufficio di presidenza -, per entrare nella domanda, si possa fare un commento. Il problema è un fatto di tempi più che di contenuti, perché poi ognuno si assume le proprie responsabilità anche politiche. Se noi avessimo convenuto, negli uffici di presidenza precedenti, che ogni gruppo ha un tempo a disposizione, chiunque in quel periodo, fermo restando il rispetto per l'ospite, è libero di fare e di domandare quello che ritiene opportuno. Poiché non abbiamo convenuto né i tempi né quanto competa ai singoli gruppi - e mi riservo di farlo questa sera con i colleghi dell'ufficio di presidenza - vi invito, per questa giornata, a tollerare - tra virgolette - qualora riteneste tollerabile la
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situazione, facendo svolgere ad ognuno, secondo la propria sensibilità, gli interventi che ritiene di effettuare in questa sede. Questa sera provvederemo a risolvere, per quanto sarà possibile, questo problema.
FABRIZIO CICCHITTO. Io mi riferisco più al materiale che lei ci ha consegnato che non alla sua esposizione, signor prefetto, che apprezzo ma che è stata molto sintetica e che si espone anche a delle obiezioni che, invece, il materiale che lei ci ha fornito non merita. Infatti, il materiale che lei ci ha dato - e questo pone degli interrogativi che poi, forse, andrebbero rivolti alle forze dell'ordine - mette in evidenza due cose.
Lei ha concentrato la sua esposizione sulla tutela della zona rossa ed io reputo e condivido con lei la valutazione che, in parte, il successo, il risultato del G8 dipendesse dalla difesa della zona rossa, in quanto vediamo - anche da materiali che ci sono stati forniti, da quello che abbiamo visto in televisione e da quanto abbiamo saputo - che l'attacco alla zona rossa non era affatto virtuale, ma che era uno dei punti fondamentali di una parte delle organizzazioni pacifiste di cui ci è stato detto. Quindi, quello era un nodo essenziale.
Nel materiale che lei ci ha dato, però, vi è anche una specificazione molto attenta della tutela dell'ordine pubblico per quello che riguardava anche la zona gialla. Quindi, noi dobbiamo fare una riflessione fra la delineazione di questo ordine dei lavori, di questa programmazione e così via e dei difetti che, invece, sono emersi nell'ambito della zona gialla.
Tutto ciò, però, attiene ad un terzo punto - e qui viene la mia domanda - che è stato sollevato già ieri dall'onorevole Nitto Francesco Palma e che consente forse anche di dare una parziale risposta ad interrogativi che, in modo ripetuto, il senatore Bassanini ha posto alle forze dell'ordine nell'altra riunione. Il senatore Bassanini (spero di interpretarne correttamente
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il pensiero): ha detto: come mai non si è riusciti ad isolare i violenti rispetto a manifestazioni sostanzialmente pacifiche? A parte il fatto che l'operazione credo sia tecnicamente difficile, considerando la mobilità teorizzata da un nucleo limitato dei violenti, quello delle tute nere, la risposta parziale a questa domanda del senatore Bassanini sta nella descrizione contenuta nell'ordinanza di servizio cui faceva riferimento ieri l'onorevole Nitto Francesco Palma. Io condivido la descrizione che qui viene fatta della mappa, diciamo così, delle forze che si contrapponevano o che comunque manifestavano, a parte il fatto che il blocco rosa, il blocco giallo, il blocco blu e il blocco nero hanno in se stessi delle componenti teorizzate e praticate di violenza molto rilevanti, il che spiega anche la difficoltà di prendere, di catturare, di isolare le componenti più spinte che entravano e uscivano da cortei, che per metà o per tre quarti avevano componenti violente molto rilevanti.
Questo dà una spiegazione - una spiegazione - anche della difficoltà delle forze dell'ordine di fare i conti con questa realtà, a meno che esse non volessero ricorrere a misure straordinarie che nessuno auspicava, come quella di sparare, cosa che, naturalmente, non si doveva fare e che è stata fatta in un solo caso drammatico che abbiamo analizzato ieri.
Quindi, la domanda che pongo è se la difficoltà di mettere in pratica quello che qui è spiegato benissimo, sul piano programmatico, anche ai fini della tutela della «zona gialla», non sia dipesa dal fatto che non un ristretto gruppo di violenti, ma una parte cospicua di coloro che manifestavano - proprio in base alla mappa che qui ci viene fatta - avesse il proposito o di far saltare la «zona rossa» o di contrapporsi alle forze dell'ordine; ciò si salda con le spiegazioni dateci dal comandante Siracusa, il quale ci ha descritto, ieri, gli avvenimenti,
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in gran parte dimenticati, dell'intera giornata di venerdì, che viene ricordata solo per il fatto drammatico avvenuto alle 17,30, quando, invece, tale fatto è stato preceduto da un'escalation di violenza provocata non solo dalle «tute nere», ma anche dalle altre componenti che programmavano la violenza e che si ritrovano nella descrizione fatta da pagina 31 in poi, in una parte del materiale che lei ci ha fornito.
CESARE MARINI. Prefetto, io non ho ancora letto le sue relazioni perché, avendo bisogno di dormire molto, non posso leggere di notte; le leggerò, perciò, nei prossimi giorni. Ho fatto questa premessa perché non vorrei farle delle domande a cui lei, probabilmente, ha già risposto.
La prima domanda che le pongo è la seguente: vi sono stati cambiamenti nel sistema di prevenzione e sicurezza? Se vi sono stati, quando sono stati apportati ed in che cosa sono consistiti? Sulla base di quello che ho compreso nel corso di queste audizioni e dalla lettura delle relazioni presentate, sono pervenuto alla conclusione di dover formulare, soprattutto rispetto agli ultimi eventi, quelli, cioè, che più hanno destato stupore - mi riferisco alla perquisizione nella scuola Pertini ed a quanto è avvenuto nella caserma di Bolzaneto, alla fase finale, alla coda del vertice, agli episodi che, ripeto, hanno creato molta amarezza, anche se non hanno riguardato le forze dell'ordine nel loro complesso ma frange di queste - la seguente domanda: rispetto ai predetti fatti qual è stato il suo ruolo? Glielo chiedo perché mi pare che tutti abbiano detto che, in realtà, l'ordine pubblico aveva un vertice rappresentato da lei, quale coordinatore di tutte le forze dell'ordine, e un coordinatore tecnico - chiamiamolo così - nella persona del questore. Allora, quando vi fu quella perquisizione, lei ne era stato informato? L'aveva autorizzata? E, se non è stato lei, chi prese la decisione? Non le sto chiedendo chi prese la decisione
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di fare la perquisizione, ma più specificamente chi prese la decisione di agire con quelle modalità. Inoltre, chiedo di sapere se nella scuola Pertini vi fosse un responsabile dell'operazione e, in caso affermativo, chi fosse. Infine, rispetto all'indicazione emersa, e cioè che lei era il responsabile supremo del coordinamento - sul posto si capisce, non a Roma -, e rispetto anche a tutte le critiche che sono state mosse per quanto riguarda gli episodi fuori dalla norma - certo non quelli che solitamente si riscontrano in occasione di manifestazioni, ad iniziare dal non avere impedito l'ingresso in Italia dei black bloc e delle frange più violente ed eversive, nonché qualche reazione sbagliata di frange di poliziotti - vorrei sapere quale ruolo abbia avuto lei personalmente.
MICHELE SAPONARA. Un ANSA di ieri riferiva: Agnoletto e gli altri sono stati accreditati dal Governo italiano. Il Genoa social forum esisteva già prima della vittoria del centrodestra, ma il Governo Berlusconi ha legittimato il suo ruolo di interlocutore. Lo ha detto il sindaco di Genova, Giuseppe Pericu, rispondendo ad alcune domande di onorevoli e senatori del Comitato d'indagine sul G8. I colloqui con Agnoletto e Casarini - ha aggiunto - sono stati gestiti dal Governo italiano: lo stesso Scajola, nel corso di un incontro, ci manifestò l'intenzione di dialogare con loro e i colloqui partirono - partirono - alla presenza del capo della polizia e dei responsabili del Governo, ma senza gli enti locali. Il sindaco ha aggiunto che non c'è stato alcun avvertimento che il momento della consensualità o contestualità con loro fosse rotto.
Orbene, signor prefetto, lei ha depositato i verbali dei comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica e degli incontri di servizio dal 7 agosto del 2000 al 12 giugno del 2001. A pagina 2 del diario verbale del 9 aprile dice: il prefetto
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comunica che il 4 aprile il Presidente del Consiglio dei ministri, in presenza del ministro dell'interno e del ministro degli affari esteri, gli ha conferito mandato per il dialogo con le organizzazioni non governative e che il 5 aprile, in presenza del capo di gabinetto del ministro dell'interno, ha incontrato una delegazione del Genoa social forum che preannunciava la presentazione di un dettagliato piano di esigenze logistiche. Il prefetto comunica che oltre al Genoa social forum altri hanno chiesto di poter manifestare nei giorni del vertice. Il prefetto informa dell'incontro avvenuto il 31 marzo con il segretario generale della Farnesina nel corso del quale veniva data assicurazione che entro la fine di aprile si sarebbero conosciute le destinazioni alloggiative dei capi delle delegazioni.
Orbene, signor prefetto, chiedo conferma di questa circostanza e chiedo, ovviamente, che lei illustri, nel modo più dettagliato possibile, tutto ciò che è avvenuto in quel contesto, chi erano i rappresentanti del Governo e quale dialogo abbia avviato lei con il Genoa social forum per incarico del Governo.
FRANCO BASSANINI. Ieri ci è stato spiegato - lo dico al prefetto, ma è stato già ricordato dai colleghi - che, alla fine, la gestione era riservata alle autorità locali: prefetto e questore. Credo sia utile per tutti noi - che abbiamo idee al riguardo, ma, forse, non del tutto precise - che il prefetto ci precisi anche l'esatta distinzione di compiti tra il prefetto e il questore, anche se poi la responsabilità per così dire politica dovrebbe far capo al prefetto e quella operativa al questore (mi corregga se non è così).
Le mie domande sono le seguenti: anzitutto, quando avete avuto gli elementi definitivi per poter definire le operazioni di prevenzione, di ordine pubblico, eccetera - quindi, la collocazione delle delegazioni, le date di arrivo, la previsione delle manifestazioni, e via dicendo -, quando siete stati, cioè, in
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condizione di dare veste definitiva al piano, ai progetti per la tutela dell'ordine pubblico?
Credo questo sia un elemento rilevante, poiché lei ci descrive un work in progress che però si definisce solo nel momento in cui questi elementi sono conosciuti. Lei ritiene - valutazione che sarebbe utile per noi - che questi elementi siano stati definiti troppo tardi? Che bisognava cercare di anticiparli per avere più tempo?
Seconda domanda. Anch'io ho molto apprezzato il materiale e, in particolare, come l'onorevole Cicchitto, ho molto apprezzato che esso contenga un'analisi molto dettagliata e precisa delle varie organizzazioni, devo dire anche con indicazioni abbastanza importanti. È evidente - ma questo lo sapevamo tutti - che le organizzazioni potenzialmente violente sono più di una (non è una sola, anche se una, quella dei cosiddetti black bloc, era più violenta o più pericolosa di altre: tuttavia sono più di una). Nel materiale fornito sono identificati anche i rischi di infiltrazioni; rilevo, ad esempio, un passaggio in cui si dice che si è appreso che Forza nuova, Fronte nazionale e Comunità politica di avanguardia avrebbero effettuato una manifestazione e alcuni membri di Forza nuova avrebbero costituito un nucleo da infiltrare tra i gruppi delle tute bianche: tale gruppo, in possesso di armi da taglio, avrebbe avuto come obiettivo principale quello di colpire i rappresentanti delle forze dell'ordine screditando, contestualmente, l'area antagonista di sinistra anti G8. Si tratta quindi di una identificazione di tutti i possibili pericoli, a destra e a sinistra.
Vedo anche che c'è una previsione, molto dettagliata, dei possibili arrivi. Da questa previsione mi sembra si ricavi - vorrei averne conferma dal prefetto - che numericamente gli appartenenti ad organizzazioni pacifiche fossero, certamente,
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la maggioranza mentre quelli appartenenti ad organizzazioni violente, o disposte ad usare metodi violenti, fossero la minoranza. Credo che sarebbe utile capire se queste previsioni, grosso modo, si siano poi verificate. Naturalmente non le chiedo se, effettivamente, dalla provincia di Alessandria siano arrivate 250 persone del blocco rosa, 20 del blocco blu e 30 del blocco nero! Lei ritiene che queste previsioni, così analitiche e dettagliate, abbiano poi trovato riscontro? È quindi vero ciò che ci hanno detto coloro che abbiamo avuto modo di ascoltare (mi riferisco sia alle autorità locali sia ai responsabili nazionali delle forze dell'ordine), vale a dire che la grande maggioranza dei manifestanti era pacifica e che solo minoranze, non per questo meno pericolose, erano appartenenti ad organizzazioni che hanno usato la violenza o hanno tentato di innescare azioni violente nei giorni del G8? Tutto ciò, ricavabile dai suoi rapporti e dalle sue istruzioni, è stato confermato dallo svolgersi degli eventi?
Se è così - le pongo una ulteriore domanda -, considerato che in questa ordinanza si identificano, anche molto bene, gli obiettivi sensibili sul percorso delle manifestazioni e le organizzazioni violente nelle loro articolazioni, perché ho l'impressione (che, per il momento, abbiamo avuto tutti) che tutto questo lavoro di preparazione non si sia tradotto in una attività efficace, o quanto meno sufficientemente efficace, di prevenzione e isolamento dei violenti e delle loro azioni? Si sapeva quali fossero le organizzazioni; era stato fatto un lavoro imponente di istruttoria, di analisi e di previsione; di alcuni di costoro si sapeva dove erano acquartierati e dove dormivano; sappiamo, dalle precedenti esperienze, che i rappresentanti delle nostre forze dell'ordine, l'ho ricordato ieri, sono efficaci e bravi, in occasione di manifestazioni, a svolgere l'importantissimo lavoro di separare i manifestanti pacifici, che esercitano
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un diritto costituzionale (finché sono pacifici), da quelli violenti, che non esercitano alcun diritto costituzionale, che violano le leggi e che, in quel modo, conculcano anche il diritto dei pacifici: questo deve essere ed era un punto fondamentale! Perché il sistema non ha funzionato? Perché obiettivi sensibili identificati, a quanto ho capito, sono stati devastati? Perché il piano non ha avuto successo? Questa continua ad essere, per me, la prima domanda. Naturalmente la seconda è come siano potuti accadere eccessi, violenze non necessarie nei confronti di arrestati e nei confronti di manifestanti inermi. Ma la prima resta quella che ho appena ricordato.
Infine, due ultime domande. Le è già stato chiesto se lei sia stato preventivamente informato della cosiddetta perquisizione alla scuola Pertini, alla scuola Diaz e alla Pascoli. Per quanto ne so - mi corregga se non è così, - trattandosi di una iniziativa certamente di competenza del questore, ma con risvolti, per così dire «politici», credo che il prefetto dovesse esserne informato per poter fare qualche preventiva valutazione al riguardo. Attendiamo di sapere cosa sia successo e quali quindi siano stati, in questi giorni, i suoi rapporti con il questore di Genova.
L'ultima domanda si ricollega a quella rivoltale poco fa dal collega Saponara. Non ho capito, e vorrei che venisse ricostruito, in quale momento una generica e credo da nessuno contestabile e contestata indicazione di confronto e di dialogo con le ONG (cosa che è stata fatta in tutti i vertici ed i summit internazionali e perfino nella preparazione del G8 - io stesso ho avuto qualche responsabilità politica del lavoro della Digital opportunity task force, che ha preparato una parte, che poi il Presidente Berlusconi ha giudicato molto importante, del lavoro del G8, e dico subito che l'abbiamo organizzata con gli sherpa dei 9 grandi paesi in via di sviluppo ed i rappresentanti
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delle ONG che si occupano del settore - ed è quindi ritenuta una normale attività) sia divenuta quasi una indicazione esclusiva di dialogo con un vertice rappresentativo che, ovviamente, non poteva garantire per tutti (perché nessuno può garantire per tutti coloro che partecipano ad una manifestazione che si svolge in piazza); si trattava, sicuramente, di un interlocutore importante, ma, forse, non era l'unico. Allora, qui, io leggo un'indicazione che sembrerebbe dire che questa scelta è diventata consistente nel momento in cui il nuovo Governo ha dato questa direttiva (opportunamente io credo: anch'io, come il collega Boato, non vorrei che questa domanda fosse interpretata come polemica, non è polemica); tuttavia credo sia importante riuscire a capire in quale momento e, naturalmente, perché ciò è avvenuto, anche se, dico subito, che penso fosse una decisione sostanzialmente inevitabile.
FILIPPO MANCUSO. Signor prefetto, sto alla sua relazione nella quale sono, in esordio, indicate le origini delle organizzazioni che hanno, come dice la lettera della sua informativa, dato consistenza al Genoa social forum.
Ho un dubbio - che è oggetto della mia sola domanda - che la prego, se possibile, di dissolvere sulla base anche delle cose che potrà dire, prima, al collega Saponara.
Questa organizzazione, alla sua sensibilità di amministratore e di cultore delle leggi, come è apparsa? Come un comitato o come un'organizzazione non riconosciuta? Secondo le due tipologie previste dal nostro codice civile, era un'associazione non riconosciuta o un comitato? Essendo questa distinzione, a mio avviso, non irrilevante, sia per quel che è accaduto sia per quelle che potrebbero essere le conseguenze sulla responsabilità per i fatti, lei dà notizia di questa organizzazione, di questo magma, direi, di questa melma, formata da centinaia di singoli soggetti, a partire dal luglio,
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quando proprio il primo, il più attivo, il più iniziatico di questi nuovi enti comunicò il programma delle manifestazioni, che poi si moltiplicarono nel tempo, e alle sigle si aggiunsero le sigle, fino a quelle esplicite dei black bloc.
Allora, siccome è pacifico che lo Stato - attraverso la sua ed altre autorevoli rappresentanze - con questo magma, con questa melma, ha trattato, vorrei sapere quando, ad opera di chi, nei confronti di chi, con quali argomenti, con quali finalità, con quali risultati il Governo (la pubblica amministrazione, i suoi organismi locali) cominciò a discutere - attraverso la discussione o l'ammissione alla trattativa e alla discussione -, attribuendo esso stesso una qualche forma di riconoscimento e di rappresentatività. Quando avvenne questo primo contatto, questo sposalizio di interessi, con quali finalità, ripeto, e con quali risultati? Che esso, poi, sia continuato con il primo e con il secondo Governo è una conseguenza necessaria, io penso, della premessa, ossia dell'istituzione di un rapporto che concretava anche un riconoscimento, un riconoscimento, quindi, anche del black bloc.
GABRIELE BOSCETTO. Signor prefetto, intanto la saluto e, da parlamentare ligure, le esprimo tutta la soddisfazione per la documentazione sicuramente molto interessante che lei ci ha portato questa mattina. Ho avuto modo - quando sono stato, per due mandati, presidente della provincia di Imperia - di collaborare con lei, anche in momenti dolorosi come quelli delle alluvioni che hanno colpito il territorio Ligure, e so quanto scrupolo lei metta sempre in ogni sua azione.
Mi richiamo pertanto, spero rapidamente, ad alcuni dei suoi atti e documenti. In questa relazione - definita, appunto, «Per il presidente della Commissione affari costituzionali» - a pagina 6, lei scrive: «Fin dal gennaio 2000 si comincia ad affacciare un movimento molto composito che si riconosceva
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nel segno dello slogan 'Da Seattle a Genova, ribellarsi è giusto' che preannunciava forme di contestazione contro la globalizzazione dell'economia e che faceva la sua prima comparsa in occasione della mostra convegno internazionale sulle biotecnologie qui svoltasi alla fine di maggio dello stesso anno»; quindi siamo a maggio del 2000. «Tale movimento acquistava una prima fisionomia come rete contro il G8, alla quale aderivano associazioni di chiaro stampo pacifista ed ambientalista insieme ai centri sociali genovesi e alla rete Lilliput. Conquistava nuove adesioni attraverso una campagna telematica e si presentava, alla fine dell'anno, come patto di lavoro, con l'obiettivo di interloquire con le istituzioni per organizzare spazi di agibilità democratica in occasione del vertice». Iniziava così una serie di incontri che poi andremo a vedere.
Mi pare che in queste poche righe lei chiarisca quello che noi avevamo già sentito, in buona parte, dal sindaco Pericu e, in parte, dalla professoressa Vincenzi, sulla genesi di questo Social forum, una genesi che va a riallacciarsi, come lei dice, fin dal gennaio 2000, a queste prime associazioni sotto alcuni segni di slogan per arrivare a quel patto di lavoro del quale ci ha parlato il sindaco Pericu, che poi abbiamo visto già operativo e trasformarsi, da lì a poco, in Genoa social forum. Quindi, l'importanza di queste righe, deriva non solo da questa consecutio storica che lei ci evidenzia, ma anche perché colloca l'affacciarsi di questo movimento - che poi alla fine abbiamo visto essere sempre il medesimo - nel gennaio 2000.
Passando agli incontri - e sono quelli contenuti nel suo indice e chiamati 'incontri di servizio' - noi vediamo come il 20 ottobre 2000, in quelle sedi, il prefetto comunica la posizione del consiglio comunale e provinciale sul tema dell'accoglienza dei manifestanti. Ciò vuol dire che questo discorso del Social forum - si chiamasse ancora in quel
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momento patto di lavoro o già Social forum - addirittura era sottoposto all'attenzione dei consigli comunali e provinciali, ossia di due importanti organi elettivi che avevano discusso sulle associazioni medesime e sulle loro intenzioni. Quando, infatti, andiamo a prendere il verbale dell'incontro di servizio del 20 ottobre, il prefetto parla di questa realtà dei movimenti: «Il dibattito, in sede consiliare, da parte dell'amministrazione comunale e provinciale, ha già evidenziato una sostanziale apertura al dialogo, vuoi attraverso l'istituzione di apposite commissioni (vedi la delibera del consiglio comunale della 25 settembre 2000)» - noi abbiamo chiesto al sindaco Pericu di farci avere queste delibere con relativa discussione in consiglio comunale - «vuoi attraverso l'impegno ad attrezzare strutture di sostegno a favore dell'accoglienza dei partecipanti alle contromanifestazioni (vedi la delibera del consiglio provinciale, questa volta, del 28 settembre ultimo scorso). La recente esperienza maturata in occasione della mostra convegno sulle biotecnologie ha contribuito ad ingenerare nell'opinione pubblica una percezione del fenomeno in termini per lo più negativi, a causa degli episodi occorsi durante lo svolgimento dei cortei. Con riguardo alla consistenza del fenomeno, si può cominciare a delineare un fronte antagonista composto da circa una settantina di gruppi di associazioni» - allora erano ancora una settantina - «all'interno del quale non è stata ancora riconosciuta alcuna posizione leader. L'obiettivo prefisso» - lei scrive, signor prefetto - «è quello di impedire lo svolgimento del vertice». Questa è la situazione di fatto, chiaramente espressa da lei in questo verbale d'incontro di servizio del 20 ottobre.
C'è poi la riunione l'11 gennaio, nella quale il prefetto comunica la proposta, formulata dal movimento patto di lavoro - qui siamo già a questa denominazione -, tesa ad
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ottenere un tavolo di confronto con le istituzioni per il problema dell'accoglienza dei manifestanti. Ci sono diversi passi: «Queste associazioni chiedono il reperimento di soluzioni che contemperino l'esigenza di consentire il regolare svolgimento dei lavori del vertice e l'istanza dei movimenti portatori di opinioni di dissenso volta ad ottenere l'attenzione dell'opinione pubblica».
Con l'occasione le chiedo di confermarmi se quella manifestazione, che aveva registrato anche alcune violenze in occasione della mostra convegno sulle biotecnologie, fu la manifestazione che destò tanta polemica perché il presidente della provincia, Marta Vincenzi, che aveva messo a disposizione e finanziato il cocktail o la cena di ringraziamento ai partecipanti, era stata preceduta da una sfilata, che aveva avuto risvolti violenti, alla testa della quale marciava il presidente della provincia Marta Vincenzi; si tratta di un ricordo che mi sovviene in questo momento, le chiederei di confermarmelo.
In questa situazione siamo arrivati all'11 di gennaio, con il patto del lavoro che avanza talune richieste; il 9 aprile viene appuntata quella frase, molto importante e già ricordata dall'onorevole Saponara, con cui: «Il prefetto comunica che il 4 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri, Amato, in presenza del ministro dell'interno, Bianco, e del ministro degli affari esteri, Dini, gli ha conferito mandato per il dialogo con le organizzazioni non governative, e che il 5 aprile in presenza del capo di gabinetto del ministro dell'interno ha incontrato» - lei, signor prefetto - «una delegazione del Genoa social forum che preannunciava la presentazione di un dettagliato piano di esigenze logistiche; il prefetto comunica che oltre al Genoa social forum, altri gli hanno chiesto di poter manifestare nei giorni del vertice».
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Il giorno 12 aprile lei, signor prefetto, in questo comunicato precisa che: «Il Genoa social forum ha presentato un documento riassuntivo delle iniziative programmate e, che a breve, incontrerà il sindaco, il presidente della giunta regionale e il presidente della provincia per acquisire le rispettive valutazioni». Se analizzassimo questi ultimi due elementi troviamo come le richieste del Genoa social forum diventino di un certo peso, e come ci sia da parte loro, anche in qualche modo, la minaccia di non far svolgere il vertice, e la richiesta di contestualità delle manifestazioni e di sistemazioni logistiche che dovrebbero addirittura essere finanziate dallo Stato e dagli enti locali, perché solo in quel modo, attraverso la contestualità di manifestazioni pacifiche, il Genoa social forum avrebbe ottenuto la visibilità che ricercava senza impegnarsi in manifestazioni violente: questo lo stato dei fatti e delle cose.
Le chiedo se, oltre alla verifica del mio ricordo sulla posizione della dottoressa Vincenzi, lei confermi, nei fatti e nelle collocazioni temporali, tutto quanto ho detto. Le chiedo altresì se confermi, signor prefetto, l'invio al presidente Biasotti di una lettera datata 11 aprile 2001 che le organizzazioni aderenti al Genoa social forum avrebbero spedito a lei, e che lei avrebbe poi mandato per conoscenza al presidente della regione Biasotti, del seguente tenore: «Egregio signor Antonio Di Giovine, prefetto di Genova, Genova 11 aprile 2001; oggetto: trasmissione e richieste e documentazione per spazi e manifestazioni promosse dal Genoa social forum. Egregio signor prefetto, abbiamo appreso con piacere che in occasione dell'incontro a Roma, al Viminale, del 5 aprile scorso con i rappresentanti nazionali del Genoa social forum, sia stato comunicato ufficialmente ai nostri esponenti che nel rapporto con le ONG sia stato designato un unico interlocutore nella sua persona per la trattativa sugli spazi, le manifestazioni e
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l'agibilità democratica della città. Abbiamo apprezzato anche gli impegni assunti dal Governo...» - quel Governo dell'11 aprile - «... nella sua collegialità di non procedere alla chiusura delle frontiere e di garantire il rispetto del diritto di espressione e manifestazione anche nei giorni del vertice del G8»; c'è poi un'ulteriore specificazione di richieste in relazione agli spazi; una lettera con richieste trasmessa il 9 febbraio scorso; sul funzionamento della stazione Brignole; sull'accesso autostradale dall'uscita di Genova est; in particolare: «...chiediamo luce, gas, strutture e attrezzature; siamo disponibili ad incontrarla per illustrare nei particolari le nostre proposte e le chiediamo di incontrarla al più presto». Se lei, signor prefetto, ha la bontà di confermare di aver ricevuto questa lettera e di averla inviata al presidente Biasotti, non solo chiudiamo per così dire l'anello posto in essere da Biasotti quando ha messo a disposizione del Comitato la suddetta lettera, ma chiudiamo anche il discorso temporale su quali fossero i contatti e la concretezza dei medesimi già nell'imperio del governo precedente rispetto al nuovo Governo Berlusconi.
Le vorrei fare ancora due domande. Una, riguarda sempre la presidente della provincia di Genova, la quale si è lamentata di non aver potuto mettersi in contatto con lei per relazionarle sui fatti che stavano avvenendo nella scuola di Quarto.
La stessa ha avuto modo di dire in questa sede che rimase male, perché essendo al vertice di una istituzione e per di più, una signora...
IDA DENTAMARO. Questo non l'ha detto!
GABRIELE BOSCETTO... aveva interpretato il suo silenzio come un gesto poco istituzionale e poco cavalleresco. La nostra parte politica ritiene ancora che esistano le signore.
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KATIA ZANOTTI. Lasci perdere!
GABRIELE BOSCETTO. Comunque, questo ha detto la dottoressa Vincenzi! La quale si è lamentata - credo che l'abbiamo sentito tutti - del mancato contatto e della mancata risposta del signor prefetto. Sentiremo, se è vero che si è avuto questo mancato contatto e quali sono state eventualmente le ragioni.
Da ultimo, vorrei sapere quale sia stato il meccanismo di consegna degli immobili del patrimonio pubblico agli affidatari, ma soprattutto come si sia svolta la procedura di scelta di questi ultimi; e se, come ci sembra di aver capito, questi affidatari fossero persone riferibili al Genoa social forum perché non si è pensato di rendere affidatari dei pubblici ufficiali che probabilmente potevano garantire meglio la conservazione dei beni invece di attribuirli a soggetti del Genoa social forum.
Ancora, una brevissima domanda. Se le risulta che - essendo rimasti feriti anche in modo grave agenti delle diverse forze di polizia ivi compresi i carabinieri, i quali hanno messo in essere azioni di coraggio con sprezzo del pericolo e con rischio della propria vita - siano in corso procedure per encomi, per valutazioni positive e per gratificazioni? Riteniamo infatti che questa Repubblica non possa soltanto puntare il dito contro qualche agente, forse in difetto, senza riconoscere l'opera grandemente meritoria di coloro che, ripeto, a rischio della vita hanno garantito l'ordine pubblico e lo svolgimento di un'importantissima manifestazione internazionale.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il senatore Turroni.
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SAURO TURRONI. Signor presidente, mi compiaccio con il suo equilibrato intervento di poco fa, che ha consentito che talune intemperanze dei colleghi non si verificassero in occasione del comizio appena ascoltato.
LUCIANO MAGNALBÒ. Considerata la documentazione che il prefetto ha consegnato, cercherò di svolgere un esercizio di sintesi.
PRESIDENTE. Colleghi, rispettate chi ha la parola!
LUCIANO MAGNALBÒ. Vorrei porre al prefetto alcune domande «secche». Signor prefetto, può riferire in maniera articolata, i motivi che lei ha individuato per i quali, il 4 dicembre del 1999, fu scelta la città di Genova: una città - lei lo afferma nella sua relazione - che offre una limitata capacità recettiva (una delle tante annotazioni), e che avrebbe comportato enormi difficoltà logistiche se non altro per l'alloggiamento di tutti i militari, 18 mila, che dovevano in principio essere allocati in città?
Il secondo punto è il seguente: quando - e ciò trapela dalla documentazione - le difficoltà andavano aumentando - e anche i servizi ne parlavano - che cosa ebbero da dire D'Alema, che aveva individuato la città, e poi Amato e Bianco sul «di più praticarsi», come si usa dire in gergo dei carabinieri?
La terza domanda è se lei confermi l'efficienza dei servizi, a cominciare dal dicembre 1999 in poi, per quanto concerne le informative che le venivano inviate e che riguardavano tale aspetto montante in ordine alla pericolosità della manifestazione.
Le voglio porre un'altra domanda riguardante il comitato di sicurezza. Lei afferma che, in occasione del primo comitato
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nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, venne esaminata la complessa situazione sia dal punto di vista dei movimenti del dissenso, che da Seattle in poi approfittavano di ogni incontro di rilievo per porsi all'attenzione mondiale, sia sotto l'aspetto, mai da sottovalutare, del terrorismo. Lei afferma che dell'evento di Genova - novembre del 2000 - in quel contesto se ne parlò soltanto marginalmente: vorrei capire cosa ciò voglia dire. Poi nel paragrafo successivo continua affermando che ciò sta a dimostrare la serietà delle valutazioni operate: vorrei capire questo passaggio.
Da ultimo, lei, in occasione della perquisizione e dell'intervento alla scuola Diaz, ebbe modo di parlare con Sgalla?
ANTONIO SODA. Signor prefetto, la ringrazio anch'io per tutta la documentazione che ci ha fornito e scorrendola mi è sembrato, in particolare faccio riferimento ad alcuni incontri di servizio (specificamente a quello di aprile), che vi fosse, nei responsabili della sicurezza a Genova, la consapevolezza che vi sarebbero state azioni di guerriglia urbana. Tanto ciò è vero che nell'ordinanza di sicurezza emanata poi il 12 luglio dal questore, sulla premessa dell'analisi dei presenti a Genova, tali azioni di guerriglia si sarebbero sviluppate con quella tecnica che le immagini televisive hanno ampiamente documentato. Ieri il capo della polizia, in un passaggio, in verità, parzialmente corretto in sede di replica e di risposta, ha fatto presente che tali modalità di violenza (infiltrazioni nei cortei pacifici, fuga, ricomposizione di piccole squadre, saccheggi e poi rientro all'interno dei cortei) non sono fronteggiabili, non si possono contrastare con i reparti comuni di servizio di ordine pubblico.
Voglio porre la mia prima domanda. Da quello che ho capito vi è la consapevolezza, negli atti che lei ci ha consegnato, che di fronte a centinaia di migliaia di manifestanti
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pacifici, di fronte a manifestazioni pacifiche, avremmo avuto un piccolo numero - e in ciò dissento da quello che ha poco fa rilevato l'onorevole Cicchitto: lo stesso capo della polizia ha detto che la predisposizione alla violenza apparteneva a poche migliaia di persone rispetto alle centinaia di migliaia di pacifici manifestanti - di facinorosi dediti ad azioni di guerriglia urbana. Vi è la dichiarazione del capo della polizia che tali azioni di guerriglia urbana non possono essere efficacemente contrastate con i reparti impiegati in azioni di normale ordine pubblico. Le leggo un passaggio particolare dell'intervento del capo della polizia: «Il loro contrasto sul terreno si è reso altrettanto difficile dal ricorso ad autentiche tecniche di guerriglia che non possono essere fronteggiate agevolmente con reparti ordinariamente impiegati nei servizi di ordine».
Orbene, nell'ordinanza di sicurezza del questore del 12 luglio si individuano le tecniche di guerriglia, i punti sensibili, la necessità di impedire i contatti con i cortei, eccetera, e poi si definiscono i reparti mobili e si aggiunge una quota di forze dell'ordine per fronteggiare le varie emergenze. Allora, se vi era tale consapevolezza sulle tecniche di guerriglia e se vi è stata un'insufficiente azione di contrasto, lei, che era il responsabile, ha avuto dal capo della polizia il supporto tecnico per l'impiego, non di quei reparti comuni di ordine pubblico, ma di reparti più efficacemente in grado di contrastare tali tecniche di guerriglia? Ciò perché le immagini televisive hanno mostrato la zona gialla - come ha detto il sindaco - priva delle forze dell'ordine: i facinorosi scorrazzavano impunemente, distruggevano, saccheggiavano, eccetera. Questa è la prima domanda che le pongo.
A seguito dell'audizione di ieri, la percezione, almeno della stampa - non credo che sia corretta - è che una delle cause della diffusività della violenza sia da attribuire - come anche
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qualche commissario ha ripetuto in quest'aula - alla natura del movimento che, incapace di risolvere dall'interno ed espellere dal proprio seno le frange violente, ha sostanzialmente impedito il controllo dell'ordine pubblico nella zona gialla.
A questa analisi risponde oggi la responsabile del servizio sicurezza del Genoa social forum, la signora Raffaella Bolini, rappresentante ARCI (che non so se lei ha avuto modo di conoscere, ma dovrebbe averla incontrata varie volte), che dichiara: «Io non voglio accusare nessuno e saranno la magistratura e il Parlamento ad accertare le responsabilità, ma constato che ci viene rimproverato di essere stati poco chiari negli incontri con la questura prima del vertice di Genova, sebbene proprio noi avessimo impostato il dialogo con le istituzioni sulla base di una trasparenza assoluta e di distacco totale. In piazza poi abbiamo dovuto prendere atto con sorpresa che i violenti erano liberi di scorrazzare senza che nessuno li fermasse, con tantissime persone pacifiche che venivano trattate come fossero devastatori».
È in grado allora di dirci una parola chiara sui rapporti con questi rappresentanti? Vi è stata doppiezza, ambiguità? O vi è stata, come risulta da un suo atto, una loro specifica, espressa, ripetuta segnalazione con la quale - sapendo dell'arrivo a Genova di gruppi violenti nei termini descritti nell'ordinanza del questore del 12 luglio - si affermava costantemente di non essere in grado di assicurare autonomi servizi d'ordine? L'atto della prefettura di Genova (credo sia stato già citato in Commissione) dice che il problema non è rappresentato tanto dalla contemporaneità degli eventi - il vertice, le piazze tematiche e le manifestazioni - quanto dall'appesantimento dell'attività delle forze dell'ordine tesa ad impedire l'inserimento nelle manifestazioni pacifiche di elementi
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portatori di violenza che devono essere discriminati. Questa mi sembra una posizione costituzionalmente corretta: il compito primario di isolare i violenti e quello primario di garantire la libera manifestazione dei pacifici cittadini spetta allo Stato che, in questo caso se li è assunti pienamente.
Le chiedo se ciò sia avvenuto per una insufficienza tecnica determinata dalla penuria di reparti idonei a fronteggiare quella tipologia di guerriglia? C'è stata una sottovalutazione? È successo qualcosa altro che ha impedito il corretto funzionamento del meccanismo di difesa e di sicurezza? Lei, in particolare, esclude la tesi aleggiata in Commissione che, essendo la violenza tanto diffusa, non poteva essere garantito l'ordine pubblico?
GIANNICOLA SINISI. Ringrazio il signor prefetto per la puntuale e scrupolosa documentazione, che ci ha fatto pervenire, ma che soltanto superficialmente ho potuto scorrere, sebbene qualche documento in particolare mi abbia interessato di più (per un certo vezzo di guardarne alcuni piuttosto che altri). Ho prestato maggiore attenzione alla sua ordinanza del 2 giugno 2001, che regolamenta le attività, e non solo, relative all'ordine pubblico per la prevenzione degli eventi e che disciplina anche il regime di alcune zone della città: è l'atto con cui lei individua la zona rossa e quella gialla.
Nello stesso, lei afferma che la bozza dell'ordinanza (ho una certa consuetudine con la prudenza dei prefetti e con la prassi del Ministero dell'interno), molto diligentemente, aveva ottenuto l'approvazione preventiva del comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica e reputo quindi che il comitato nazionale del Governo Amato del 24 maggio 2001 sia stato l'ultimo - secondo quanto detto dal capo della polizia - ad averla esaminata. Inquadrate le date, leggo dalla sua ordinanza che nella zona gialla erano interdette le manifestazioni e il
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volantinaggio: non mi sembra di registrare alcuna deroga, contrariamente a quanto è emerso dalle precedenti audizioni. Il 2 giugno 2001 il parere del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, confermato da quello del comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, era che nella zona gialla non dovessero esserci né manifestazioni né volantinaggio. Signor prefetto, quali e quante manifestazioni sono state successivamente autorizzate, coinvolgendo la zona gialla, oltre che la città? Abbiamo ascoltato dal capo della polizia che una manifestazione era partita addirittura a ridosso della zona rossa. Quali direttive lei ed il questore, che ha condiviso le responsabilità a livello locale, avete ricevuto per autorizzare queste manifestazioni?
Il 19 giugno, il ministro dell'interno ha illustrato la disponibilità del Governo ad una apertura e abbiamo letto sui giornali che, ancora il 14 luglio, il ministro degli esteri proseguiva nell'iniziativa del dialogo, incontrando 70 organizzazioni non governative e parlando di una apertura mai incontrata in altri vertici da parte dei manifestanti (l'abbiamo letto su La Stampa di Torino, il 14 luglio). Essendo un evidente atto in deroga all'ordinanza prefettizia del 2 giugno 2001, dovrebbe dirmi quali sono state le direttive che ha ricevuto e che le hanno consentito di assumere una iniziativa di grande responsabilità, essendo a conoscenza, sin dal dicembre del 1999, che nuclei di violenti erano all'interno di queste manifestazioni.
Sempre per quella mia antica consuetudine maturata (anche se non vorrei essere considerato una reduce, in questa occasione), so che lei è autorità politica sul territorio e le spetta un coordinamento politico delle attività di pubblica sicurezza.
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Vi sono state molte occasioni in passato in cui è stato necessario, non una trattativa, signor prefetto, ma un confronto, cosa ben diversa come lei sa. La domanda l'ho posta anche ieri al capo della polizia e riguarda il confronto politico, che in genere viene sviluppato dal Governo, o dal rappresentante del Governo in sede periferica, il prefetto: c'è una ragione per la quale il 24 ed il 30 giugno ad incontrare queste organizzazioni è stato delegato il capo della polizia e non lei o un rappresentante del Governo?
Le vorrei porre ancora due questioni, sperando di non essere insistente. La prima è una questione tecnica. Ieri abbiamo sentito parlare di coordinamento, vorrei sapere se le aliquote della Guardia di finanza e dell'Arma dei carabinieri, destinate a svolgere funzioni di ordine pubblico nei giorni dal 19 al 21 luglio a Genova con riferimento al G8, siano state messe a sua disposizione o a disposizione del questore.
Infine le faccio una domanda a cui lei, proprio come autorità rappresentante del Governo a livello locale dovrebbe poter rispondere: vorrei sapere se nei giorni del G8 le risulta che vi furono autorità di Governo presenti a Genova non impegnate ufficialmente nei vertici del G8 e se ha avuto modo di sapere a che titolo fossero presenti.
MARIA CLAUDIA IOANNUCCI. La ringrazio, prefetto, soprattutto per tutti i documenti che ci ha inviato. Già dal 23 agosto 2000 lei parlava di inadeguatezza delle strutture ed il 20 ottobre 2000 di pericolo per quanto riguardava l'attività del G8 e le attività collaterali; le vorrei chiedere se a seguito di queste sue dettagliate indicazioni vi sia stata dal Governo dell'epoca una risposta o comunque atti o attività che potessero cercare di minimizzare le inadeguatezze ed i pericoli da lei sollevati.
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Mi vorrei soffermare ancora sul Genoa social forum, sempre leggendo gli atti da lei depositati, già nell'11 gennaio 2001 - richiamandomi in toto a quanto ha detto prima e sicuramente meglio di me, il senatore Boscetto - lei sollevava il problema delle organizzazioni, in seguito alle sue dichiarazioni il ministro informa e designa l'architetto Margherita Paolin quale figura di Governo referente per intrattenere le relazioni con i movimenti antagonisti, dopo di ciò ancora il 9 aprile vi è un incontro presso la sede di Palazzo Chigi ed il Presidente del Consiglio dei ministri, in presenza del ministro dell'interno e del ministro degli affari esteri, le conferiva mandato per il mantenimento del dialogo con le organizzazioni non governative. Nelle sue relazioni, lei informa sempre più dettagliatamente su come queste organizzazioni non governative, che avevano intenzione di manifestare pacificamente contro il G8, confluissero nel Genoa social forum. Vi è stato quindi un naturale ingrossamento delle file di queste organizzazioni che passano da circa 50 a 500 soggetti. Vorrei sapere se queste organizzazioni non governative sono poi confluite veramente in quello che è stato indicato come Genoa social forum e se l'indicazione del Genoa social forum avvenne durante il Governo Amato.
La presidente della provincia ha indicato la mancata collaborazione del Genoa social forum. Essa ha lamentato non solo in questa sede, ma anche ripetutamente di fronte alla stampa, come il Genoa social forum non abbia mai fatto denunce o comunque indicato alle autorità che all'interno dei beni che gli erano stati loro consegnati vi fossero degli oggetti pericolosi, i quali, tra l'altro, erano stati individuati dalla stessa provincia. Il Genoa social forum ha mai inviato atti o fatto
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anche una semplice telefonata alla questura o alla prefettura per indicare la presenza, all'interno degli immobili che gli erano stati consegnati, di oggetti pericolosi?
Il sindaco e la presidente della provincia lamentano lo scarso coinvolgimento che il prefetto avrebbe avuto nei loro confronti. Il sindaco e il presidente della provincia fanno parte a pieno titolo del comitato provinciale per l'ordine pubblico e la sicurezza (o perlomeno così hanno affermato sia il sindaco che la presidente della provincia). Mi sembra strano che ci sia questo rilievo di mancato coinvolgimento, quando, leggendo le carte, le ordinanze, le riunioni e i verbali che lei ha depositato, risulta che il sindaco e la presidente della provincia o non fossero presenti, o lo fossero solamente attraverso loro rappresentanti - ho contato due presenze - e comunque mai di persona. Questa latitanza degli enti locali, quindi non già un mancato coinvolgimento da parte della prefettura, è così evidente che lei è costretto ad indicare, e lo leggo a pagina 12 di «Verso il G8. Considerazioni e valutazioni afferenti il periodo 11 aprile - 10 giugno 2001», che non è riuscito a parlare né con il sindaco né con la presidente della provincia, tanto è vero che successivamente ha chiesto di incontrarli, proprio per la loro latitanza nei vari comitati. Mi conferma tutto ciò?
Il 5 febbraio 2001, sempre in una riunione del comitato provinciale - dove brillavano sempre per la loro assenza il sindaco e la presidente della provincia - viene indicato che è allo studio la verifica della applicabilità dell'articolo 650 del codice penale per inosservanza dei provvedimenti dell'autorità. Ora, vorrei formulare una domanda che ho già fatto ieri e che ripeterò a lei, proprio in relazione a quella seduta ed a quanto deciso dal comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza. Vorrei chiederle se l'ordinanza del 19 luglio della questura di Genova
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di asportare i cassonetti per evitare che venissero usati nel corso della guerriglia urbana sia stata rispettata e se, in base a quanto deciso nella seduta appunto del 5 febbraio 2001, sia stato poi applicato - o comunque siano state aperte indagini in relazione - l'articolo 650 del codice penale contro chi non aveva ottemperato, ubbidito o comunque fatto ottemperare all'ordinanza del questore di Genova del 19 luglio.
Infine, le chiedo se lei è al corrente del fatto che nella scuola Pertini vi fosse un'infermeria.
Ho finito con le domande; chiedo al presidente se sia arrivata la documentazione che avevo richiesto al sindaco ed al presidente della provincia.
PRESIDENTE. Sono pervenuti, soltanto, i documenti a disposizione di tutti i commissari. Documentazioni ulteriori, tra cui quella da lei richiesta, non sono ancora giunte.
NITTO FRANCESCO PALMA. Ho chiesto di intervenire per alcune precisazioni. È noto che sono stati intrattenuti contatti tra il Governo ed il Genoa social forum, voluti dal Parlamento ed in linea con i precedenti rapporti, che avevano caratterizzato la preparazione del G8: Genoa social forum, non organizzazioni non governative. Infatti, leggo nell'appunto del prefetto (oltre la nota già richiamata dall'onorevole Cicchitto, relativa alla riunione del 9 aprile, quando il prefetto comunicava di aver avuto l'incarico dalla Presidenza del Consiglio di dialogare con le organizzazioni non governative) che, il 5, in presenza del capo di gabinetto, ha incontrato una delegazione del Genoa social forum. Leggo anche, che, il 12 aprile, il prefetto comunicava che il Genoa social forum aveva presentato un documento riassuntivo delle iniziative programmate e che, a breve, avrebbe incontrato il sindaco, il presidente della giunta ed il presidente della provincia.
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Vorrei fare una considerazione: dalla nota del 12 luglio 2001 della questura di Genova, emerge un quadro delle varie componenti dei manifestanti abbastanza puntuale e dettagliato e, per taluni versi, inquietante. L'area del dissenso viene suddivisa in quattro categorie (rosa, gialla, blu e nera), tre delle quali, con diversa entità, sembrano tutte essere dedite alla violenza, o in parte o integralmente. Ad esempio, si parla di un blocco giallo, in cui sarebbero ricomprese le tute bianche, che hanno predisposizione alla violenza e, in particolare, all'utilizzo di sistemi di attacco contro le forze dell'ordine. Nella pagina successiva vi è un'individuazione delle varie tipologie di violenza proprie di questo blocco giallo, fra le quali si cita l'improvvisazione di blocchi stradali e ferroviari. Successivamente, vi è un'individuazione delle tipologie di violenza del blocco blu e di quello nero.
Mi sembra di intuire, da quanto scritto nel documento, che, oltre alla tipologia delle varie violenze, è individuabile anche una strategia di attacco. In particolare, con riferimento al blocco nero, si fa chiaramente richiamo alla tattica di muoversi per piccoli gruppi, il cosiddetto «mordi e fuggi». Vi è, altresì, una chiara indicazione, sotto il profilo della quantità numerica, dei vari blocchi e, in particolare, dei soggetti che, all'interno dei vari blocchi, sono considerati dediti alla violenza. Facendo una somma numerica di tali soggetti, arriviamo a numeri elevati, sicuramente simili ai 5 o 6 mila, indicati ieri dal prefetto De Gennaro.
Fatta questa premessa, le domande sono le seguenti: quando siete entrati in possesso di queste notizie e, in particolare, esse erano a vostra conoscenza, quando sono iniziati - siamo ancora all'epoca del precedente Governo - i rapporti con il Genoa social forum? Con riguardo a questi contatti e rapporti, vorrei sapere se, in previsione del vertice,
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nel corso degli incontri avvenuti, siano stati raggiunti degli accordi e, se la risposta fosse affermativa, che tipo di accordi fossero e se siano stati sostanzialmente rispettati.
Infine, nell'appunto relativo ai vari comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza, leggo che avete dedicato diverse sedute - come è logico - sia ai movimenti antagonisti (immagino che ciò sia avvenuto durante la seduta del 20 ottobre 2000), sia a questioni di tipo tecnico-logistico, cioè sostanzialmente all'individuazione dei contingenti di forze dell'ordine da utilizzare a Genova e alle possibilità di acquartieramento. Ciò avveniva tra la fine di settembre dell'anno scorso ed i primi giorni di quest'anno. Poiché immagino che qualsiasi ragionamento, pur con le necessarie modifiche, che abbia ad oggetto l'entità delle forze dell'ordine da impiegare, presupponga una strategia di interventi e - prima ancora di questa - un'informazione, la più dettagliata possibile, circa il tipo di manifestazione da consentire e contrastare (quando questa manifestazione determini violenze), mi chiedo: tra la fine dell'anno 2000 e l'inizio dell'anno 2001, quali notizie avevate in ordine all'entità della manifestazione e quale tipo di strategia avevate immaginato?
ANTONIO TOMASSINI. Signor presidente, intervengo sull'ordine dei lavori. Ho trovato molto utile, al di là di tante dichiarazioni sentite, le relazioni pervenute dagli ispettori della polizia, già in nostro possesso da ieri. È stata promessa, già nella giornata di ieri, la terza relazione: voglio avere rassicurazioni precise sul momento in cui ci verrà consegnata. Chiedo fermamente di poterla avere prima di interrompere questa sessione dei lavori. Mi associo alla richiesta avanzata da altri colleghi sul bilancio sanitario degli enti, che il 118 di Genova dovrebbe essere in grado di fornire. Grazie, signor presidente.
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PRESIDENTE. Grazie, onorevole Tomassini, provvederemo in ordine alle due sollecitazioni cui faceva riferimento.
LUCIANO VIOLANTE. Il materiale che ci ha consegnato, signor prefetto, ci consente di avere un quadro compiuto e, forse, molte delle risposte alle domande formulate sono già negli atti che ci ha fornito.
Guardando l'appunto che ci ha consegnato, verso la fine di pagina 6, è scritto: iniziava così una serie di incontri, il primo nel febbraio del 2001, con le organizzazioni del movimento, che dapprima si chiamava «Patto di Lavoro» e successivamente si trasformava, nel marzo 2001, in Genoa social forum, in seguito all'adesione di associazioni straniere. Verso la fine di pagina 7 dell'appunto, dopo il riferimento alla crescita delle domande di adesione delle associazioni al movimento, a ritmo - se non capisco male - insostenibile, lei scrive «Si era giunti così al 20 aprile, data dell'ultimo incontro che ebbi con gli esponenti del movimento che ribadivano di voler manifestare in concomitanza temporale e fisica al fine di impedire attraverso ogni forma di disobbedienza civile l'arrivo dei Capi di Stato e di Governo e lo svolgimento del vertice». Siamo dunque al 20 aprile, quando il movimento fa queste richieste e si sospendono, per così dire, le trattative. Poi, alla pagina 8, lei riferisce «il tema del »dialogo« con il movimento del dissenso però restava ancora insoluto» - cioè non si era ancora deciso cosa fare - e poi ancora «Eravamo quasi alla vigilia del vertice e, scelta la via del confronto diretto a consentire forme di convivenza tra lo svolgimento del vertice G8 e di un »contro vertice«, il Governo affidava al capo della polizia il mandato tecnico per tradurre in concreto tale volontà». Vi è, cioè, un momento in cui alla vigilia del vertice si decide di riprendere, se non capisco male, il colloquio per consentire forme di convivenza tra vertice e contro manifestazioni.
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È così, signor prefetto? Vorremmo allora sapere se sia un'autorità politica che decide ad un certo punto per il confronto diretto e la contestualità delle manifestazioni.
Vorrei, poi, sapere - anche se è una questione minore -, signor prefetto, cosa voglia dire uniforme atlantica. Molto spesso, infatti, si trova scritto nelle sue carte che i vari ufficiali di polizia dovevano andare in giro con l'uniforme atlantica.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. È un tipo di uniforme.
LUCIANO VIOLANTE. Io chiedo perché una di queste persone che doveva andare in giro con l'uniforme atlantica è, invece, ripresa dalle fotografie con una maglietta ed un paio di pantaloni normali. Vorrei, quindi, sapere se era questa l'uniforme atlantica oppure un'altra! Rivolgo questa domanda perché una delle persone che figura dover vestire una divisa atlantica, quindi riconoscibile come appartenente alle forze di polizia, in realtà è stato fotografato - lei sa bene chi è - con una maglietta e un paio di pantaloni.
Vorrei anche chiedere, con riferimento all'ordine pubblico, se era il questore a rappresentare l'autorità di pubblica sicurezza, quella cioè che aveva la responsabilità complessiva delle operazioni di pubblica sicurezza, indipendentemente dai corpi che materialmente svolgevano le operazioni. Perché se guardo il dossier riservato della questura di Genova, datato 12 luglio 2001, da pagina 172 in poi dell'ordinanza di servizio della questura di Genova, le uniche disposizioni riguardano gli appartenenti alla Polizia di Stato. In questo documento - peraltro, questo materiale è molto importante perché ci fa capire la complessità, che personalmente ho compreso solo guardando bene queste carte (dal tiratore scelto appostato a tutto il resto) - ci sono tutti i turni, ma questi riguardano
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sempre e soltanto appartenenti alla Polizia di Stato e non anche gli appartenenti all'Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza. Stesso discorso riguarda anche le sale operative, perché anche nella sala operativa G8, che doveva essere sala operativa mista, c'è soltanto il nome di appartenenti alla Polizia di Stato e non anche degli altri. Vorrei, allora, capire il perché. Vorrei sapere se il questore sapeva chi erano gli altri ufficiali, o erano gli altri corpi a mandare gli ufficiali senza comunicarlo al questore. Vorrei sapere, cioè, come si svolgeva il meccanismo della comunicazione. Anche perché ieri abbiamo acquisito l'informazione che non vi era una comunicazione diretta, se non capisco male, tra Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Guardia di finanza, ma si passava attraverso la sala operativa comune e di lì, poi, ai singoli comandi.
Vorrei anche chiedere, riguardo ai cassonetti: come mai soltanto il 19 è stata fatta questa benedetta ordinanza dei cassonetti, e non preventivamente?
Vorrei, infine, sapere se lei, visto che ha tenuto memoria di tutto con grande completezza, ha scritti o appunti anche sulle direttive - perché lei rappresentava l'autorità di Governo sul posto - che l'autorità politica ha dato nel corso del tempo sulle operazioni da svolgere al G8, quindi dall'inizio, da febbraio 2000, se non capisco male, e poi successivamente. Ecco, vorrei sapere se ha tenuto nota di ciò e, se non le ha con sé, se può farle avere in un successivo momento alla Commissione al fine di poter avere un quadro della sequenza delle direttive politiche.
Vorrei anche aggiungere che, in un suo decreto del 13 giugno 2001, si fa riferimento ad un organismo di collegamento per le questioni di sicurezza, logistiche e così via. Lei, signor prefetto, ad un certo punto dice «ritenuto alla luce delle suesposte considerazioni di dover costituire un apposito organismo
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di collegamento che consenta... di garantire la data di consegna...». In proposito, noto che non c'è nessun appartenente alle strutture di polizia, perché in tale organismo c'è il vice prefetto vicario, il sindaco (o suo delegato), il capo della struttura di missione (o suo delegato) e il provveditore alle opere pubbliche. Qui, non era prevista, per questo aspetto, nessuna competenza delle forze di polizia.
ANTONIO DEL PENNINO. La mia domanda, signor prefetto, si ricollega ad alcune osservazioni svolte prima dal collega Palma. Con riferimento, cioè, alla distinzione che viene operata nell'informazione sul fronte della protesta anti G8, a pagina 31 della circolare della questura di Genova, sui diversi blocchi che facevano parte del fronte della protesta si distinguono: quello rosa, individuato come la derivazione del «Patto del Lavoro» e con una scelta, diciamo così, pacifica; l'altro, individuato già ampiamente dalla stampa e dai commenti, il famoso black bloc; infine, una fascia intermedia, che nel rapporto viene definito come blocco giallo e blocco blu, in cui si dice che era presente un dibattito interno che vedeva però prevalente le indicazioni anche verso manifestazioni violente, e non solo pacifiche.
Credo sia molto importante chiarire il rapporto tra il Genoa social forum e quest'area, per così dire, grigia, intermedia, fra le tute bianche e il blocco blu, perché questo ci può consentire di chiarire meglio i livelli di responsabilità, anche del Genoa social forum.
Vengo dunque alle mie domande. Nell'informativa della questura si indica fra i movimenti del blocco giallo, cioè i movimenti con propensione e progetti di violenza, il circuito nazionale in Ya basta, che ritroviamo poi fra gli aderenti formali al Genoa social forum. Si indicano, poi, il movimento Azione globale dei popoli, che non troviamo - perlomeno io
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non ho trovato - fra gli aderenti al Genoa social forum, ma per il quale vorrei sapere quale fosse il rapporto con il movimento; vengono, poi, indicati i centri sociali che hanno dato vita alla cosiddetta Carta di Milano e una serie di questi li ritroviamo tra i firmatari del Genoa social forum.
Vorrei sapere se si riferiscano a questi centri sociali che vengono indicati come facenti parte del «blocco giallo» o ad altre cose. Inoltre, quando si parla del «blocco blu», alla fine della descrizione si dice che va sottolineato che, nonostante la contrapposizione con i sodalizi che si riconoscono nel «blocco giallo», esponenti dell'Askatasuna partecipano alle periodiche riunioni del Genoa social forum. La mia domanda è se lei possa fornirci indicazioni più precise per definire quale fosse la presenza, all'interno del Genoa social forum, di questa area grigia, intermedia, che peraltro viene descritta come area che ricorre a sistemi di violenza.
GRAZIA LABATE. Innanzitutto vorrei rivolgere un ringraziamento, non formale, ma sostanziale, al signor prefetto per il materiale che ci ha consegnato in tempo utile, anche se questo ha comportato, ovviamente, una lettura notturna che non credo di poter definire molto attenta (il materiale era effettivamente tanto).
Da quanto ho potuto leggere devo dire che vi è un lavoro molto rigoroso alla base di questo materiale, che ci ha consentito, signor prefetto, - lo dico molto sinceramente - di constatare una specie di scarto tra la rigorosità, la meticolosità e la precisione di relazioni, incontri avvenuti, dossier informativi e tutta l'attività svolta in circa due anni di preparazione del vertice G8 rispetto, - ahimè! -, alle relazioni degli ispettori che ieri abbiamo potuto leggere, le quali invece hanno
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rilevato una situazione di assenza di sinergia, di caos e di mancanza di assunzione diretta di metodiche precise per l'individuazione di responsabilità.
Detto ciò le vorrei rivolgere la prima domanda. A pagina 7 del suo appunto per la presidenza del Comitato lei afferma che il movimento cresce a livello esponenziale, in termini di associazioni, e poi fa riferimento ad una attività di informazione relativa a relazioni del SISDE. Allora la domanda che le rivolgo è molto breve e specifica: si intende con ciò le sintesi che troviamo da pagina 31 a pagina 35 del blocco più consistente e riservato che ci è stato fornito oppure esiste una relazione del SISDE molto più articolata di queste quattro pagine e, qualora ne sia in possesso, le chiedo di fornirla alla presidenza del Comitato; in caso contrario, chiedo alla presidenza del Comitato di poter acquisire questo materiale.
In ordine a ciò leggo a pagina 34 (sempre del fascicolo relativo all'esito dell'attività informativa) che si sarebbe appreso, in un diverso contesto informativo - vorrei capire quale sia questo diverso contesto informativo -, che Forza nuova, Fronte nazionale e Comunità politica d'avanguardia avrebbero effettuato a Genova una manifestazione antiglobalizzazione. Vi sono inoltre segnalazioni specifiche a proposito di un esodo di 25 o 30 persone dal Piemonte verso la nostra città e che questo gruppo sarebbe stato in possesso di armi da taglio. Allora, signor prefetto, la domanda che le rivolgo è la seguente: che relazione vi è tra questa informazione riservata e tutto quanto è accaduto nella nostra città prima e dopo il 30 giugno - lo ripeto per memoria di tutti i colleghi - allorché i rappresentanti di Forza nuova, a nome del loro segretario nazionale Roberto Fiore, rispondendo su tutta la polemica sorta per il loro ingresso con una manifestazione nella nostra città, affermarono: «non solo noi non obbediamo alle indicazioni
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che vengono dalla questura o dalle forze dell'ordine, di non tenere la manifestazione, ma noi faremo lo stesso un corteo» - richiamo l'attenzione dei presenti - «tra corso Italia e piazza Rossetti» luoghi che poi sono stati anche teatro di molti disastri cui abbiamo assistito in televisione. Pertanto la domanda è la seguente: a proposito dell'informativa contenuta in questo dossier, di questi avvenimenti con queste prese di posizione, del raduno di questo gruppo avvenuto in un ristorante tra Albaro e corso Italia, quali azioni di prevenzione o di intelligence sono state poste in essere in rapporto alle segnalazioni precedenti, i fatti avvenuti e poi le giornate dal 19 al 21 che abbiamo seguito?
Devo dire per correttezza d'informazione che sono rimasta molto sorpresa della lettura che ha fatto la collega Ioannucci delle riunioni tenute presso la prefettura; evidentemente deve distinguere tra le riunioni del Comitato provinciale per la sicurezza e riunioni che si chiamano incontri di servizio, alle quali gli enti locali, ovviamente, non partecipano a causa della loro specificità. Relativamente alle riunioni del Comitato provinciale per la sicurezza, dove gli enti locali sono rappresentati, ricordo che non solo vi è la presenza del sindaco e del presidente della regione - non lo dico per prendere le difese, ma per correttezza di informazione -, ma laddove essi non vi siano, sono presenti vicesindaco e vicepresidente; la collega, inoltre, rileverà che il presidente della regione Liguria non è mai presente a tali riunioni, ma vi è sempre un suo delegato. La prassi è questa: quando l'avente diritto non può partecipare, lo fa un supplente o un delegato.
ANTONIO IOVENE. Ringrazio il prefetto per quanto ci ha esposto e soprattutto per l'ampia documentazione che ci ha messo a disposizione; in questa documentazione ho trovato, come ricordava anche l'onorevole Boato, quella nota riservata
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di cui avevo chiesto notizie al capo della polizia ed al generale dell'Arma dei carabinieri, nella giornata di ieri. Quindi in questa nota (contenuta nell'ordinanza inviata il 12 luglio ad un ampio elenco dei destinatari) vengono inoltre ricordate alcune delle cose da me chieste ieri. Rispetto a ciò, mi interessa sapere cosa sia stato effettivamente fatto rispetto alle segnalazioni ivi contenute; se siano stati conseguiti risultati che, al momento, non sono registrabili, in particolare per quanto riguarda il tentativo di infiltrazione di forze neofasciste e in merito alle segnalazioni molto dettagliate, che vengono individuate nell'elenco che è qui allegato, di appartenenti al blocco nero provenienti da diverse province italiane.
Nella stessa nota si fa riferimento - ne hanno parlato anche diversi colleghi - ad una sorta di classificazione del cosiddetto movimento che avrebbe preso parte alle manifestazioni in occasione del vertice G8; leggendola emerge in qualche modo una distinzione assolutamente soggettiva che viene fatta dagli estensori, nel senso che non mi pare che esistano blocchi di questo tipo; ossia al di là del black bloc, che ha una sua specifica individuazione, non mi pare esistano i vari blocco rosa, blocco giallo, eccetera. Credo siano definizioni oggettive individuate degli estensori della nota. Lo spazio dedicato a questi diversi quattro blocchi è inversamente proporzionale alle dimensioni ed al peso che queste diverse realtà hanno; il blocco rosa, che è quello che viene - in pochissime righe - delineato come il movimento pacifista cui partecipano organizzazioni cattoliche, ambientaliste e così via, è quello che poi, di fatto, ha portato le centinaia di migliaia di persone a manifestare in quella sede, mentre l'ampio spazio - oltre le tre, quattro pagine - che viene riservato al blocco giallo, al blocco blu e al blocco nero ovviamente si riferiscono all'entità (molto meno rilevanti dal punto di vista numerico, se
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non addirittura ampiamente minoritari) dei partecipanti, molti dei quali non facenti parte assolutamente del Genoa social forum.
Da questo punto di vista, facendo riferimento anche a ciò che ha detto l'onorevole Mancuso, è evidente che il Genoa social forum potrebbe essere classificato, secondo gli articoli 36 e seguenti del codice civile, come un comitato nato per l'occasione specifica, con una durata limitata legata alla realizzazione delle iniziative e delle manifestazioni connesse al vertice di Genova. A questo comitato o coordinamento di associazioni hanno aderito oltre 800 sigle di entità, peso ed ampiezza diversi: tra queste vorrei ricordare Pax Christi, le ACLI, Adista (il settimanale cattolico), l'associazione comunità Papa Giovanni XXIII e così via, a testimonianza delle caratteristiche specifiche con le quali questo movimento aveva sottoscritto una dichiarazione pacifica e non violenta di manifestazione in occasione delle giornate di Genova.
Vengo, quindi, all'ultima domanda e concludo. Questo movimento, che aveva intenzione di svolgere pacificamente le proprie iniziative in occasione del vertice di Genova, si è trovato, per la grandissima maggioranza dei suoi componenti, suo malgrado, coinvolto in atti di violenza, subendoli e non vedendo in qualche modo tutelata la propria libertà di manifestare. Lei, nella penultima pagina degli appunti che ha avuto la cortesia di fornirci, ci ricorda che: «In definitiva, l'impenetrabilità conseguita della zona rossa ha reso possibile il regolare svolgimento del vertice secondo i programmi stabiliti, senza alcun disturbo o interferenza, nonché - come ho già ricordato - il rispetto di tutto il patrimonio artistico e storico della città che non ha subito alcun danno». Poi
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aggiunge: «Di diverso avviso chi ritiene che la particolare attenzione riservata ai lavori del Vertice ha indebolito la difesa della restante parte del territorio cittadino».
La domanda che le rivolgo, alla luce di quanto è avvenuto e ovviamente delle informazioni in suo possesso, è se forse in quelle giornate non vi sia stata effettivamente una diversa attenzione proprio nella tutela dei manifestanti pacifici e nella separazione, nell'allontanamento e nella capacità di neutralizzare e colpire coloro i quali, invece, a Genova volevano - come poi è accaduto - realizzare atti di violenza.
LUIGI BOBBIO. Signor presidente, ringrazio il prefetto per la sua presenza. Vorrei introdurre le mie domande - le quali, come ormai è mia abitudine, saranno assolutamente secche e senza alcun tipo di commento - richiamando l'attenzione solamente sul fatto che per alcune di esse le chiederò sostanzialmente una risposta sulla prassi attuata a Genova in occasione del vertice G8. Infatti, le prassi - ciò accade specialmente quando si tratta di vertici istituzionali - spesso divergono dalla sostanza e non presentano possibilità di elusione, riguardando vertici istituzionali: in questo caso mi riferisco, in modo particolare, al capo della polizia.
Tali prassi divergono dalle regole formali sulla ripartizione dei compiti; regole che, peraltro, tanto amabilmente ieri l'onorevole Violante ha richiamato in soccorso dell'audito il quale ha prontamente e giustamente colto la ciambella di salvataggio che gli veniva lanciata.
In primo luogo, vorrei sapere, con riferimento a questa premessa - se è in grado di dircelo -, quale fosse il suo ruolo dal punto di vista della gestione dell'ordine pubblico: mi riferisco sempre a ciò che è concretamente accaduto a Genova in occasione del vertice G8.
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In particolare, vorrei sapere se le direttive date alle forze dell'ordine venivano in qualche maniera impartite da lei, oppure se erano impartite da altri e, in questo caso, da chi. Quando parlo di direttive impartite mi riferisco non al prosieguo della cosiddetta catena di comando, ma al vertice e cioè alla figura istituzionale che, in occasione del vertice di Genova, di fatto riassunse in sé, sotto qualsiasi forma di intervento, il potere di impartire la prima disposizione o di dirimere i problemi che fossero sorti nel corso dell'opera di prevenzione in relazione alle modalità di tutela dell'ordine pubblico.
Inoltre, vorrei sapere, con riferimento sia alla fase preparatoria sia a quella attuativa del vertice - quando parlo di fase preparatoria mi riferisco, se non ricordo male, all'inizio dell'autunno del 1999, perché allora si è entrati nella fase viva dell'attuazione preparatoria del vertice -, quale potere di intervento, per ciò che è a sua conoscenza (ma credo che lei comunque, come rappresentante del Governo in sede provinciale, avesse la necessità, anche per regolare se stesso in termini di gestione di potere pratico e amministrativo, di sapere ciò), fu assegnato nella pianificazione e gestione delle misure sull'ordine pubblico al capo della polizia o/e, come si dice nel settore giuridico, ai suoi eventuali diretti collaboratori designati.
Prima di passare ad alcune domande che hanno specificamente ad oggetto la sua interessante relazione, vorrei sapere anche se lei in questi giorni, a vertice G8 concluso, nell'esercizio della sua attività istituzionale, abbia o meno avuto contezza, sensazione o percezione dell'intenzione dell'amministrazione comunale e di quella provinciale di Genova di avviare azioni di responsabilità civile per i danni causati agli immobili consegnati agli esponenti del Genoa social forum -
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con tutto ciò che ne consegue, a mio avviso, in termini di irritualità di tale consegna a soggetti privati e non esponenziali di alcunché da un punto di vista formale -, azioni da avviarsi ovviamente nei confronti dei consegnatari degli immobili stessi. Si consideri che nessuno potrà mai sostenere che i danni, per esempio, prodotti in particolare nella scuola Diaz possano essere stati causati in occasione dell'irruzione delle forze di polizia, posto che le fotografie ci mostrano addirittura pavimenti divelti dal terreno e ciò certamente non può essere imputato ad una irruzione di polizia.
Con riferimento alla sua relazione, vorrei rivolgerle poche domande. Il primo riferimento è a pagina tre della sua relazione in cui si legge che fin dal novembre del 2000 si poneva, da parte sua e degli altri componenti della struttura creata ad hoc, il problema relativo ai movimenti di dissenso «che da Seattle in poi approfittano di ogni incontro di rilievo per porsi all'attenzione mondiale, sia sotto l'aspetto del terrorismo, mai da sottovalutare...» credo che vi sia un piccolo refuso.
Poco più avanti, a pagina 4 si afferma che, sostanzialmente, l'obiettivo prefissato dal gruppo organizzativo, era quello di assicurare lo svolgimento regolare del vertice e di tenere al riparo da disagi tutti gli ospiti che vi partecipavano. Conseguentemente, mi domando e le domando: è possibile mai che, fin d'allora, malgrado questa netta percezione che avevate, squisitamente in tema di pericoli di ordine pubblico - non mi riferisco quindi né allo svolgimento regolare del vertice né alla tutela e disagio degli ospiti - non vi siate posti altri obiettivi da valutare e da conseguire? In primo luogo, mi riferisco all'obiettivo dell'ordine pubblico. È mai possibile che l'esperienza precedente - proprio da lei citata e che si articolava su così tanti gravi e ravvicinati episodi da Seattle a Göteborg,
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successivi al novembre del 2000 - non vi ha permesso di porvi l'obiettivo relativo alla tutela della sicurezza pubblica al di fuori dell'area della zona rossa?
A pagina 5 della relazione si osserva che: «Sempre in questa prospettiva, fin dal novembre 2000, ho suggerito la presenza in seno alla struttura di missione di un qualificato rappresentante del Ministero dell'interno che fungesse da collegamento ... per gli aspetti legati alla sicurezza delle scelte logistiche che si andavano compiendo». Le domando: si tratta di una incompletezza di esposizione o in questo calendario di attività da delegare a rappresentanti del Ministero dell'interno mancò proprio l'indicazione della tutela dell'ordine pubblico, in particolare il controllo delle manifestazioni di piazza? Viceversa, pur avendolo omesso nella relazione, fra i compiti da delegare a rappresentanti del Ministero dell'interno - a partire dal novembre 2000 - fu inserito anche quello del coordinamento in tema di tutela dell'ordine pubblico?
A pagina 6 della relazione lei afferma: «Diverso, e per un certo verso più complesso e delicato è stato il percorso che ha riguardato la crescita del movimento antiglobalizzazione che, se ha sempre destato meno preoccupazione dal punto di vista della violenza deflagrante, ... ha contribuito a far crescere un clima di particolare tensione». Vorrei chiederle di illustrarmi meglio questo punto, perché mi sembra che ciò sia abbastanza in contraddizione con la presa d'atto della violenta natura che il movimento aveva acquisito sin dai tempi di Seattle.
Subito dopo la relazione continua sottolineando che: « Fin dal gennaio 2000, infatti, si comincia ad affacciare un movimento molto composito che si riconosceva nel segno dello slogan Da Seattle a Genova, - Ribellarsi è giusto, che preannunciava forme di contestazione contro la globalizzazione...». Ebbene, in questa prima sigla risulta piuttosto
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evidente, anche in relazione alle considerazioni che lei ha svolto nelle pagine precedenti della relazione, un esplicito richiamo alla violenza da parte del cartello di organizzazione in questione. Voi, malgrado ciò, fin dal gennaio 2000 avete continuato a conferire attendibilità, a riconoscere credibilità ed affidabilità a questa organizzazione che già si caratterizzava per propensione alla violenza a partire dalla sua stessa denominazione?
A pagina 8 della sua relazione risulta che: «Conseguentemente, il 2 giugno 2001, veniva adottata l'ordinanza prefettizia ... con la delimitazione di una zona di massima sicurezza e di un'ulteriore area di rispetto caratterizzata da prescrizioni meno incidenti sulla libertà dei cittadini e tuttavia funzionali alle esigenze dell'area interdetta». Su questo aspetto ho due domande da farle.
Fino al giugno 2001 mi sembra che si continui a percepire ancora che l'unico vero, consapevole obiettivo della struttura - diretta da lei, dal capo della polizia e dal questore - fosse quello relativo alle esigenze di sicurezza e di svolgimento del vertice - parliamo quindi del perimetro interno alla zona rossa -; una zona rossa creata e finalizzata allo svolgimento regolare ed indisturbato del vertice e alla tutela dei partecipanti. Al contempo sembra sfuggire l'aspetto, forse parimenti importante, della tutela dell'ordine pubblico nella città di Genova intesa nella sua totalità e non con specifico riferimento alla zona rossa e alla zona gialla.
Nella sua relazione, subito dopo, scrive: «Il provvedimento...» - zona rossa, zona gialla e quant'altro - «... accolto positivamente dalla sicurezza dei paesi ospitanti, superava anche il vaglio del tribunale amministrativo regionale». Per aversi un vaglio dal TAR - chiamiamolo con la sigla - occorre un ricorso al TAR. Ci sarebbe grato sapere chi, contro
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l'istituzione della zona rossa e della zona gialla, propose ricorso - in sospensiva o comunque nel merito - al tribunale amministrativo regionale, con ciò sostanzialmente avversando la creazione della zona rossa e le motivazioni che ne costituivano la base.
Sempre a pagina 8 si afferma: «Eravamo quasi alla vigilia del vertice e, scelta la via del confronto diretto a consentire forme di convivenza tra ... G8 e ... un »contro vertice«, il Governo affidava al capo della polizia il mandato tecnico per tradurre in concreto tale volontà». Che cosa fece allora il capo della polizia per tradurre in concreto tale volontà? Questa frase postula la necessità - se la logica e l'italiano hanno un senso - di conferire al capo della polizia poteri diretti, non solo di coordinamento, ma anche di gestione concreta delle autorità locali dotate di poteri che, in questo caso, venivano in parte od in tutto delegati, subdelegati o deferiti al capo della polizia in tema sia di sicurezza e di ordine pubblico sia, in generale, di controllo sull'ordinato e civile svolgimento della convivenza a Genova durante i giorni del vertice.
A pagina 10 della relazione è riportato che: «Nell'ambito della zona rossa, comprendente gran parte del centro cittadino ... nonostante i numerosi tentativi di forzatura dei varchi...», mi sembra una dicitura estremamente chiara della quale immagino, anzi sono sicuro, lei ne ha fatto un uso consapevole in questo caso. «... nessuno andato a buon fine, è stato possibile assicurare ...». Ci sono stati - sarebbe il caso di chiarirlo una volta per tutte - questi tentativi concreti di sfondamento, alcuni dei quali peraltro - si dice - riusciti?
Visto che avete lavorato a strettissimo contatto, probabilmente anche al di là delle competenze che la legge e l'ordinamento attribuiscono al sindaco, come si dice in gergo, a che film ha assistito il sindaco di Genova visto che continua
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a parlare continuamente soltanto di assedio virtuale nelle piazze tematiche? Credo che anche su questo sarebbe necessaria una definitiva parola di chiarezza.
Sempre a pagina 10, risulta che: «La particolare tecnica usata da questi gruppi - riconoscibili sotto la sigla black bloc - è consistita nello svolgere improvvise e rapidissime sortite dalla massa dei manifestanti ...». Mi chiedo, e soprattutto le chiedo, se sia a sua conoscenza che - a parte questa forma di riparo e copertura dei black bloc all'interno della massa di manifestanti - molti gravissimi atti, come quello dell'assalto alla camionetta che indusse il carabiniere allo sparo, furono condotti non da black bloc ma da tutt'altri gruppi provenienti dalla cosiddetta massa di manifestanti?
Come è stato riferito da molti operatori della polizia e dei carabinieri impegnati fisicamente per strada, si verificava spesso che, in occasione di cariche contro gruppi violenti, alcuni o molti partecipanti cosiddetti pacifici appartenenti alla massa dei dimostranti si gettavano per terra, magari a braccia alzate, e quando venivano superati dalla carica si rialzavano e aggredivano alle spalle gli operatori di polizia che proseguivano nella carica?
SAURO TURRONI. Taluni si rammaricano di contatti tra ONG, movimenti, Genoa social forum e rappresentati del Governo in previsione delle manifestazioni.
Rilievo in proposito come la nostra Costituzione garantisca la libertà associativa e la libertà di manifestare. Bene, quindi, hanno fatto coloro - lei compreso, signor prefetto - che hanno cercato il dialogo per garantire i diritti costituzionali ed anche per tentare di evitare fatti quali quelli temuti. Ritengo, signor prefetto, che lei abbia fatto molto a questo proposito e lo abbiamo visto anche dalla documentazione che ci ha presentato. Queste relazioni, questi documenti indicano che c'è
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un vasto movimento che ha scelto libere forme di aggregazione ed organizzazione e che ha inteso svolgere manifestazioni di dissenso in occasione del G8. Le relazioni, quelle che si riferiscono al comitato dell'ordine e della sicurezza pubblica, individuano chiaramente i pericoli provenienti da settori che si richiamano alla violenza.
Signor presidente, concludo ora nel caso lei non intenda assicurare la necessaria tranquillità al mio intervento.
PRESIDENTE. Grazie.
SAURO TURRONI. No, ho detto: mi fermo qualora lei non intenda svolgere la funzione delicata che le compete: sento brusii, chiacchiere.
L'ordinanza, nella parte riferita alla cosiddetta intelligence, si preoccupa giustamente di indicare, divisi per colore - rosa, giallo, blu, nero - i manifestanti secondo un criterio di presunta pericolosità, immagino derivante da loro precedenti o conosciute iniziative, dichiarazioni e così via; inoltre, l'ordinanza indica che è nota o se ne presume la consistenza numerica e la provenienza da paesi diversi dall'Italia e dalle città italiane. I documenti che lei ci ha fornito indicano che nei mesi precedenti era stata valutata la problematicità e la necessità di mettere in atto misure di contrasto per rischi derivanti da infiltrazioni, da azioni vandaliche, da inserimenti di violenti fra i pacifici manifestanti.
Nel leggere la documentazione constato che, da pagina 93 sino a pagina 105 dell'ordinanza di servizio, sono indicate le misure da adottare per la cosiddetta zona gialla. Nella prima delle pagine riservate, dopo la descrizione delle caratteristiche e dell'ampiezza dei luoghi, sono indicate, con grande precisione, tutte le azioni da mettere in atto: garantire al massimo il livello di sicurezza pubblica, impedendo ogni forma di
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disturbo o di contestazione non autorizzata; tenere sotto costante controllo delle forze pubbliche delle unità operative tutte le tratte viarie e le località comprese nell'area, con particolare riferimento alla viabilità esistente a ridosso dell'area di massima sicurezza; controllare ogni veicolo che desti sospetti, con particolare riferimento al possibile trasporto di oggetti atti ad offendere o a materiali utilizzabili per azioni dimostrative o altre forme di illegalità; individuare per tempo eventuali manifestanti che potrebbero giungere alla spicciolata, per poi ricompattarsi nei pressi della zona rossa; verificare tempestivamente, con i dovuti accorgimenti tecnici, eventuali allarmi; evitare interventi isolati e così via.
Deduco, leggendo le pagine successive, che per tutte queste azioni di contrasto e di prevenzione e per tutte le iniziative tese ad evitare che le violenze turbino il regolare svolgimento sia del vertice sia delle manifestazioni pacifiche nella zona gialla sono state distribuite solo poche centinaia di agenti. Ciò a fronte degli asseriti 6.800 uomini che ci sono stati dichiarati non solo nelle audizioni che abbiamo fin qui effettuato, ma anche dallo stesso ministro dell'interno, onorevole Scajola. Nell'ordinanza sono segnalati con precisione i luoghi dove più o meno questi agenti sono collocati, chi sono le persone che li comandano, ma il loro numero - anche considerando i diversi turni - è decisamente inferiore alle migliaia che ci sono state indicate da altri auditi e dallo stesso ministro. Quindi, vorrei conoscere quale corrispondenze ci sia tra le 6.800 unità dichiarate e le poche centinaia che sono indicate nella documentazione.
Alla luce dei fatti che si sono verificati ed al di là delle descrizioni riportate a pagina 94 circa le misure da mettere in atto, vorrei sapere se ciò che era stato previsto per evitare i fatti preventivati consentisse di svolgere un'azione di contrasto
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nel modo più adeguato, tenendo presente anche il numero così modesto di persone localizzate nell'ampia zona gialla a fronte, invece, dei numeri dei cosiddetti contestatori pericolosi. Tra l'altro, sfogliando questa importante e ben fatta documentazione, possiamo vedere che sono individuati, per esempio, tutti gli obiettivi sensibili in occasione delle manifestazioni, certamente, ma immagino anche in occasione delle non manifestazioni: dalle carceri ai distributori di benzina alle banche ad altri obiettivi che poi abbiamo visto puntualmente colpiti dai violenti del blocco nero.
Si erano individuati, quindi, gli obiettivi, si erano individuati i luoghi nei quali questi obiettivi si trovavano e coloro che avrebbero potuto colpirli; non soltanto, vengono anche individuati gli strumenti, per esempio gli elicotteri. Ieri abbiamo sentito quanti erano gli elicotteri messi a disposizione dei vari corpi di polizia; anche nella relazione viene individuato il numero di elicotteri che deve essere impiegato per valutare e riconoscere dall'alto eventuali spostamenti - immagino - di persone all'interno di queste zone e territori. Ebbene, tutto questo perché non ha funzionato, signor prefetto? Abbiamo visto che tutte queste misure non hanno funzionato: ci sono stati - almeno così ci è stato raccontato - gruppi criminali che sono andati in giro per la città ed hanno sfasciato a destra e a manca; gli obiettivi verso i quali questi gruppi criminali si sono indirizzati erano precisamente individuati nell'ordinanza emessa. Tutte le previsioni erano coerenti con quello che poi puntualmente si è verificato, ma c'è stato qualcosa nel mezzo. Per quale motivo tutto ciò non ha funzionato?
Ritengo che chi ha compiuto un così vasto lavoro istruttorio, da una parte, ed un così puntuale lavoro di individuazione delle azioni da mettere in atto, dall'altra, debba - a mio
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avviso - anche compiere ciò che viene richiesto sempre alla pubblica amministrazione: una rigorosa valutazione, per verificare se le misure preventivate e poste in essere abbiano dato i risultati previsti rispetto agli obiettivi individuati. Tali obiettivi non riguardavano soltanto la zona rossa, ma anche la zona gialla e riguardavano anche la libertà di manifestare dei pacifici, tra i quali, per esempio - e lo voglio dire a taluni, che sono intervenuti facendo di tutte le erbe un fascio, senza essere capaci di separare il loglio dal grano -, c'era anche l'associazione Médecins sans frontières, che è stata insignita recentemente del premio Nobel per la pace e che non credo sia un'organizzazione eversiva.
Vado avanti nelle mie domande, che saranno ancora due. La domanda che sto per farle, signor prefetto, le è stata in parte già rivolta anche dal presidente Violante. Nelle disposizioni di carattere generale che riguardano il territorio, a pagina 79 dell'ordinanza, vengono date due indicazioni. Una di esse è relativa ai pattugliamenti che devono essere svolti in tutto il territorio, con gruppi consistenti, in modo da evitare pattuglie isolate e così via, che possano essere fatti oggetto di azioni illegali da parte dei manifestanti. Quindi, qui non siamo in corrispondenza di manifestazioni, ma siamo durante le giornate: si pensava giustamente, infatti, di organizzare pattugliamenti in tutto il territorio, in tutta la zona gialla.
Si prevedono, inoltre, collegamenti e comunicazioni radio, esclusivamente tramite la sala operativa. Ieri il comandante dell'Arma dei carabinieri ha dichiarato che le comunicazioni fra i suoi uomini, messi a disposizione dell'autorità di polizia - perché così ci è stato detto -, non avvengono direttamente con la sala operativa ma passano attraverso la sala operativa, dei carabinieri.
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Io vorrei capire da lei, che si è occupato del coordinamento e che dà una disposizione - un'ordinanza è un qualcosa che deve essere osservato, così mi risulta -, se questa sia stata una non osservanza dell'ordinanza, che pure ella aveva in maniera così puntuale e diligente emanato, e vorrei capire perché si siano verificati certi casi (per esempio, quello tragico in cui addirittura risulta che il mezzo che è stato impiegato sembra non avesse neppure la radio). In ogni caso, mi chiedo se disposizioni impartite o contatti tra qualche sala operativa, che aveva la gestione dell'intero ordine pubblico, potessero consentire di alleviare la situazione. L'altra questione che volevo sottolinearle, signor prefetto, la trovo a pagina 175 (ma anche in altre pagine), dove vedo indicati obblighi, che l'ordinanza dispone nei confronti di funzionari, vicequestori, dirigenti di pubblica sicurezza, di presentarsi in uniforme di servizio atlantica. Ebbene, anche i giornali di oggi, segnatamente il Corriere della Sera, mostrano una diversa tenuta atlantica di uno di questi personaggi, indicato con nome e cognome a pagina 175, che è intento a sferrare un calcio in faccia ad un dimostrante di 15 anni.
Allora, qui si pongono due questioni, signor prefetto. La prima è la seguente: Io ho citato due inosservanze - almeno dal mio punto di vista - di ordinanze; mi chiedo e quindi le chiedo quali siano i provvedimenti che ella - qualora debba farlo - intenda adottare nei confronti di tutti coloro che, rispetto ad una ordinanza che ella ha emanato (secondo quelli che sono i sui compiti e i suoi doveri), non abbiano inteso, nei giorni in cui questa ordinanza ha avuto efficacia, rispettarla e darle seguito. Credo questo sia un compito che spetti a chi l'ordinanza l'ha emanata, facendo tutte le verifiche che sono necessarie..
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PIERLUIGI PETRINI. Signor prefetto, dalla lettura necessariamente sommaria della doviziosa documentazione ho tratto il convincimento - e le chiedo se sia giusto - che l'ordinanza n. 288 del 2 giugno 2001 sia in qualche modo la summa di tutto l'intenso lavoro istruttorio fino ad allora svolto. Si tratta dell'ordinanza - come sottolineava il collega Sinisi - in cui si definiscono due zone - una zona rossa e una zona gialla - e si stabilisce il divieto completo di manifestare nella zona gialla. Ecco, leggo nel diario che lei ci fornisce alcuni passaggi particolarmente significativi; lei dice: l'ordinanza emanata a pochi giorni dalle elezioni politiche in costanza del precedente organo esecutivo sarà assentita in tutto il suo impianto. Superato il vaglio politico, la stessa sarà sottoposta ad un sindacato di legittimità e resisterà alla richiesta di sospensiva di due ricorsi amministrativi. Poi, tutti gli ulteriori provvedimenti afferenti all'ordine e alla sicurezza pubblica vengono presi coerentemente con l'impianto delineato da questa ordinanza. Successivamente - lei annota - , con l'insediamento del nuovo esecutivo veniva da subito individuata la linea operativa da intraprendere con gli esponenti del Genoa social forum.
Ecco, io le chiedo: quali sono i passaggi ed i rapporti formali o informali che sottendono a questa sua affermazione? Da dove deriva cioè questo suo convincimento?
Lei dice: l'apertura al dialogo ed il conseguente stanziamento di un fondo pari a 3 miliardi introducono due elementi di novità rispetto al passato: in primo luogo, la gestione dell'accoglienza; in secondo luogo, la necessità di attendere ad una ordinanza prefettizia incidente sulle modalità di esercizio delle pubbliche manifestazioni. Quell'ordinanza, cioè, che avrebbe dovuto cancellare o derogare la zona gialla, se capisco bene. Però questa ordinanza non la trovo.
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Inoltre, lei annota che il 30 giugno, in presenza del capo della polizia, in prefettura si svolgeva un incontro volto a definire la fattibilità delle iniziative preannunciate dal Genoa social forum in un quadro di compatibilità con le esigenze di sicurezza. Gli argomenti vertevano su due obiettivi: la definizione dei siti dove predisporre l'accoglienza e la definizione dell'ambito spaziale dove organizzare i percorsi dei cortei già annunciati. Atteso che i cortei già annunciati andavano a svolgersi nella zona gialla, quindi in deroga alla sua ordinanza, le chiedo: lei riteneva a quel punto che l'impianto di sicurezza, così come era stato delineato, fosse comunque in grado di assolvere alla sua funzione? Di questo lei ebbe modo di parlare, di confrontare e di discutere con i suoi referenti politici?
FILIPPO ASCIERTO. La mia è solo una breve esposizione con un paio di domande, perché già il senatore Bobbio ed il senatore Magnalbò hanno illustrato ampiamente alcuni aspetti.
Dalla relazione che lei ha fatto sembra di capire che dal 20 aprile al 2 giugno ci sia stata una sorta di vacanza - non parlo di vacanza estiva - del Governo, dovuta più alle questioni di campagna elettorale, e che quindi ci sia stato, in quel momento, un disinteresse verso alcuni aspetti che comunque erano emersi in modo molto chiaro. Lei, infatti, parla, a pagina 7, della «crescita esponenziale del movimento, che giungeva fino a comprendere oltre 700 associazioni, e della consapevolezza, derivante anche dalle relazioni del SISDE, di frange violente del movimento antiglobalizzazione che si preparavano per Genova senza certamente chiedere di sedersi a nessun tavolo di concertazione». Quindi, c'era la preoccupazione dell'ordine pubblico.
Arriviamo al 20 aprile e, in realtà, fino al 2 giugno non ci sono momenti in cui si riflette sulla questione dell'ordine
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pubblico. Ma andando avanti «il 2 giugno» - sto a pagina 8 - «veniva adottata l'ordinanza prefettizia con la quale si disegnava il quadro complessivo della pianificazione delle misure di sicurezza». Quindi, la pianificazione delle misure di sicurezza avviene in un momento nel quale è ancora insediato il vecchio Governo. Poi si arriva ad una fase successiva, quella del dialogo, di cui si parla alla fine di pagina 8: «Il tema del 'dialogo' con il movimento del dissenso però restava ancora insoluto ed il Genoa social forum, che continuava ad accogliere nel suo seno l'adesione di nuove associazioni fino ad arrivare a contarne oltre 800,» - io poco fa dal computer ho tirato fuori gran parte di queste 800 associazioni; mi vengono i brividi a vedere i nomi di alcune di queste -. «Ribadiva con insistenza le proprie richieste. Eravamo quasi alla vigilia del vertice e, scelta la via del confronto diretto a consentire forme di convivenza tra lo svolgimento del vertice del G8 e lo svolgimento di un 'contro vertice', il Governo» - e questa è la parte importante perché poi c'è la seconda domanda - «affidava al capo della polizia il mandato tecnico per tradurre in concreto tale volontà».
Allora, le chiedo se corrisponda al vero il fatto che tra il 20 aprile ed il 2 giugno ci sia stata una sorta di vuoto; se corrisponda al vero che c'è stato un disinteresse da parte degli enti locali nelle sedute del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, che lei ha presieduto. In modo particolare, il sindaco è mai venuto in prima persona agli incontri che lei ha fatto, considerato che dai verbali del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica risulta essere presente solo due volte il vicesindaco ( l'11 giugno 2001, cioè proprio alla vigilia, e il 7 agosto 2000)?
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Quindi, c'è stato questo disinteresse degli enti locali, soprattutto nei confronti dei temi legati non solo all'ordine pubblico ma proprio all'impianto del G8.
Vi è poi la questione del mandato affidato al capo della polizia. A lei ha mai riferito degli incontri che ha tenuto con Agnoletto e Casarini e di quali siano stati i risultati di questi incontri? Le risulta che ci siano state verbalizzazioni, registrazioni e poi un'analisi all'interno o del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica oppure di riunioni ristrette e specifiche per prevenire eventuali incidenti nell'ambito delle manifestazioni del G8? Nel ripartire i fondi agli enti locali per l'accoglienza delle persone, quale ruolo informativo ha avuto lei, in qualità di prefetto di Genova? Le hanno mai fornito delle note riguardanti alcune associazioni - se così vogliamo definirle, anche se in modo improprio - antagoniste, facenti parte del Genoa social forum? Ha mai avuto notizie di gruppi internazionali che, attraverso il Genoa social forum, sono giunti a Genova e sono stati ospitati nelle strutture del Genoa social forum?
ERMINIA MAZZONI. Signor prefetto, intervengo rapidamente per porre solo due brevi domande, anche perché la copiosità della documentazione che lei ci ha mandato, molto precisa, ci offre una ricostruzione dettagliata di tutte quante le vicende e, soprattutto, elimina una serie di dubbi che, perlomeno a me, erano rimasti, a seguito delle audizioni - in particolare del sindaco e del presidente della provincia di Genova -, in merito al coinvolgimento, alla partecipazione, alla conoscenza delle fasi organizzative. Credo che, al di là di una presenza diretta, questa partecipazione ci sia stata, dunque ritengo che ci sia stata una certa interazione nella fase organizzativa, con una particolare attenzione - che emerge dai suoi atti - del sindaco, in special modo rispetto al dato
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urbanistico e architettonico più che al dato della sicurezza.
Inoltre, emerge un dato di rapporto stretto e serrato che gli enti e le autorità locali hanno tenuto con i manifestanti ed è proprio in merito a questo che le chiedevo un chiarimento, in quanto sia l'onorevole Violante sia l'onorevole Ascierto hanno focalizzato una parte della sua relazione, che è quella che poi mi ha fatto sorgere il dubbio, senza arrivare al punto che mi ha lasciata perplessa e che continua a lasciarmi perplessa.
Dopo la ricostruzione dell'incontro che hanno già fatto i colleghi, in base alla quale dalla data del 20 aprile non ci sono stati più contatti, c'è stata un'interruzione - vado rapidamente perché questi fatti sono già stati citati -, ci sono state le elezioni e immagino che anche per questo ci siano state delle interruzioni, anche perché da un dato documentale non risulta nessuna decisione nel senso di interrompere i rapporti con i manifestanti e con le organizzazioni del dissenso, quindi si tratta di un dato che lei assume dalla sua relazione. In particolare, mi soffermo su quanto lei dice a pagina 9, dove si afferma che, con la conversione in legge del decreto-legge n. 1630 del 3 maggio 2001, che decideva di finanziare allestimenti di spazi di servizio, aree e strutture destinate all'accoglienza di cittadini che volessero manifestare la propria opinione in merito al G8, da parte del Parlamento scaturiva una sorta di riconoscimento istituzionale del soggetto Genoa social forum. Da quel momento in poi - lei dice - il Genoa social forum sarebbe stato considerato il destinatario delle risorse stanziate dallo Stato. Non vi è alcuna ufficializzazione di tutto ciò, c'è un incontro che lei dichiara di avere avuto il 5 aprile - quindi precedentemente - con il rappresentante del Governo, il Ministero dell'interno e con alcuni rappresentanti del Genoa social forum, ma non vi è nessun momento istituzionale.
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Allora, la mia domanda nasce da questo dubbio, che ancora credo rimanga da chiarire. Vorrei comprendere perché, alla fine, il fatto che si siano verificati determinati eventi venga ricondotto al mancato blocco delle ale non pacifiste, delle ale violente, all'interno dei movimenti pacifisti. Come mai le forze dell'ordine non le hanno riconosciute? Come mai non le hanno bloccate? Come mai non le hanno tenute fuori dalle manifestazioni? Io dico, per far questo bisognava avere degli interlocutori certi; dunque, questa è la mia domanda: secondo quali criteri sono stati scelti questi interlocutori? Il Genoa social forum, di cui lei parla e che ritiene interlocutore istituzionale, da chi veniva rappresentato e con quale carattere di affidabilità, sotto il profilo tecnico-giuridico, normativo? Credo che un'autorità pubblica, che deve tutelare la pubblica sicurezza, debba garantirsi questo tipo di sicurezza. Quindi, quale tipo di rappresentatività hanno offerto? Come spiega tutti gli affidamenti di strutture pubbliche - senza voler considerare anche le apparecchiature informatiche e tutti gli allestimenti che sono stati offerti, con conseguente spesa pubblica, a questi soggetti manifestanti - a soggetti che, perlomeno allo stato degli atti, non hanno nessuna credibilità rispetto ad un'istituzione? So che la buona cura di un'amministrazione impone all'amministratore dirigente, prima di affidare anche un minimo finanziamento, anche un minimo spazio per una manifestazione irrilevante, di assumere informazioni sul soggetto in questione.
Dunque, io vorrei capire: quali informazioni sono state assunte, da chi sono state assunte? Come mai sindaco e presidente della provincia hanno affidato strutture comunali e provinciali a determinati soggetti? Che tipo di controlli sono stati fatti - preventivi e successivi - per comprendere chi c'era nella struttura pubblica e come venivano gestiti questa struttura
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pubblica e questo patrimonio pubblico? Da tutto ciò, vorremmo riuscire a capire - se ci sono stati tutti questi controlli, tutte queste verifiche, questa attenzione e questa buona gestione amministrativa - come mai vi erano delle fasce violente all'interno dei manifestanti pacifici, verso i quali tutte le parti politiche (come emerge dalla sua ricostruzione e, quindi, al di là delle faziosità politiche) hanno sempre manifestato una disponibilità. Da nessuna parte c'è mai stato il blocco del dialogo con le associazioni che volevano manifestare pacificamente il dissenso ai temi del G8, sia prima del 13 maggio, sia successivamente a tale data. Quindi, non credo che ci sia stato un momento interruttivo, perlomeno in questo atteggiamento.
Un'altra domanda, veramente brevissima. Perché e secondo quali criteri l'iniziale richiesta di personale, fissata in 18 mila unità, è stata poi ridotta a 10 mila? Se sono stati seguiti dei passaggi, dei criteri, come mai vi è stata tale riduzione?
PRESIDENTE. Sono così esauriti gli interventi, quindi il signor prefetto, se ritiene, può iniziare a fornire le risposte.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Ho annotato la stragrande maggioranza delle domande postemi e cercherò di seguire, nella risposta, un certo ordine, per quanto mi sarà possibile.
Oltre ai documenti che ho inviato ieri - e, tra questi, i provvedimenti adottati dalle singole autorità locali per effetto dell'ordinanza prefettizia del 2 giugno, e cioè l'ordinanza del questore, l'ordinanza del capo del circondario marittimo, l'ordinanza dell'autorità militare - voglio ricordare, solo per delimitare meglio, nella forma e nella sostanza, il quesito che ho sentito rivolgere più volte proprio sul rapporto istituzionale tra autorità centrali e locali di pubblica sicurezza, che la
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sunnominata ordinanza prefettizia, e non altri provvedimenti da essa derivati, venne impugnata davanti al TAR, e ciò non senza uno scopo perché, se l'impugnativa avesse avuto esito positivo e il TAR avesse disposto la sospensione dell'ordinanza, sarebbe crollato tutto il sistema che su questa si basava.
FILIPPO MANCUSO. Non era impugnabile!
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. È stata comunque impugnata. Sappiamo che quel provvedimento ben difficilmente poteva essere considerato impugnabile; però, è stato impugnato e l'impugnativa è stata predisposta da avvocati esperti e rigorosi: lascerò agli atti di questa Commissione i ricorsi, le difese dell'avvocatura dello Stato e l'ordinanza con la quale il TAR ha respinto l'istanza di sospensione.
Ho fatto questa precisazione perché ritorna, anche oggi, la domanda sul rapporto intercorrente tra le diverse autorità - ripeto - centrali e periferiche. Dal momento che uno dei motivi di gravame avverso il provvedimento - è un merito alla trattazione del quale non siamo arrivati; tuttavia, il tentativo, credo assolutamente non temerario, degli avvocati ricorrenti, è stato nel senso di costruire una teoria di merito - ha ad oggetto proprio il deficit, che sarebbe consistito nell'avere il prefetto, con l'ordinanza fondamentale, con l'ordinanza principale, quella senza la quale crolla tutto il sistema, operato una vasta delega nei confronti del questore. Questi avvocati, molto esperti e molto solerti, ricordavano che nell'ordinamento antico ciò non era assolutamente possibile. Ma questo ordinamento antico è stato superato da un ordinamento più moderno, adottato con la legge 1o aprile 1981, n. 121, e confermato dalla legge 31 marzo 2000, n. 78 in materia di riordino delle forze di polizia, con particolare riferimento al capo II, concernente il coordinamento delle forze di polizia.
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Qualcuno ricorderà, con esattezza, che questo è stato un argomento molto discusso in sede parlamentare proprio per stabilire nuovi criteri non solo di coordinamento, ma anche nuovi criteri di gerarchia, sia di competenza sia, naturalmente, di responsabilità.
MARCO BOATO. Ne ha discusso proprio la I Commissione.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Benissimo! E codesta Commissione ricorderà che poi, in attuazione della legge n. 78 del 2000, che lo prevedeva, il ministro dell'interno, il 12 febbraio 2001, emanava un decreto contenente le direttive per l'attuazione del coordinamento e della direzione unitaria delle forze di polizia: il prefetto, il questore, il capo della polizia, il ministro dell'interno si riconoscono ciascuno in questa normativa di legge e dalla legge derivata. Si tratta di un atto normativo, ma poiché l'ho a portata di mano, lo consegno alla Commissione con altri documenti.
È chiaro che questa mutata - mutata - caratteristica serve a spiegare perché il prefetto abbia esaminato con attenzione particolarissima la corrispondenza di ciò che egli - assistito da tutta una serie di informative, di pareri, di documentazione e quant'altro - andava immaginando, perché il 2 giugno non è una data qualsiasi: lo è se la immaginiamo con riferimento al giorno della settimana; è una data eccezionale se la consideriamo come l'anniversario della Repubblica; ma il 2 giugno, in quei giorni, era un giorno di lavoro come tanti altri. Bisognava anche fare presto, non potevo aspettare di più e quel giorno trovai l'opportunità, favorita dalla circostanza festiva: quindi, vedrete che, in un verbale di una riunione del comitato per l'ordine pubblico a cui risultano avere partecipato personalmente il sindaco e la presidente della provincia, data la delicatezza dell'argomento, prendiamo atto, tutti insieme, del
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risultato di una serie di incontri che il prefetto aveva avuto personalmente con le associazioni sindacali, con le associazioni di categoria, con le imprese di viaggio, agenzie e traghetti. Dovevamo mettere un paletto, non per fare in modo che i grandi stessero lì a riposare tranquilli e difesi, ma per evitare che migliaia di cittadini che stavano prenotando vacanze per il mese di luglio, anche sotto forma di crociere, e che si sarebbero recati a Genova in quei giorni, o lavoratori che in quei giorni non avrebbero potuto lavorare, o professionisti che in quei giorni non avrebbero potuto esercitare la professione, ottenessero dal Parlamento, in sede di conversione del decreto-legge del 3 maggio, la sospensione e, quindi, la proroga dei termini in scadenza, la cassa integrazione per le categorie costrette ad interrompere l'attività e ogni altro beneficio usufruibile, per consentire a Genova di non subire mortificazioni anche dal punto di vista del sistema produttivo. Quindi, si rinvia e non si parla di treni né di autostrade fin tanto che non sarà necessario, se sarà necessario, apportare altre limitazioni.
Ricordo che tutta una serie di provvedimenti a cascata derivarono dall'ordinanza del 2 giugno, comprese le limitazioni al traffico pesante e compresa, come vedremo alla fine, l'individuazione di tutta un'altra serie di accorgimenti volti a garantire quello che è stato garantito. Quello che è stato garantito forse non è abbastanza, anzi, senza forse, non è stato abbastanza; ma questo non ci impedisce di difendere il nostro operato e quello delle forze dell'ordine perché, allo stato, quello era il livello di previsione, modificatosi, ma, comunque, pur sempre quello. Tra poco scenderemo nei particolari. Posso consegnarvi la documentazione ma forse è preferibile dopo...
PRESIDENTE. Certo, come vuole.
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ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. ...altrimenti mi distraggo e rischio di lasciarvi anche carte che non vi interessano. Metto qui da parte la documentazione e poi verificheremo.
Bisogna anche stare attenti a immaginare, poi, queste linee di comando e di coordinamento come qualcosa di misterioso e di vago. Al contrario, è tutto molto semplice, è tutto estremamente preciso: esistono dei livelli ai quali maturano le convinzioni e si effettuano le valutazioni e vi sono dei momenti, spesso di solitudine, in cui si prendono le decisioni; questa è la differenza tra i comitati, le riunioni, gli organismi, tutti quei momenti di collegialità in cui si afferma, si nega e si ritorna a discutere.
Gli organi collegiali previsti dalla legge n. 121 sono organi di consulenza o del ministro o del prefetto. Il prefetto - ecco perché non c'è da meravigliarsi che egli convochi e presieda anche un comitato regionale - è, per delega sempre ripetuta, da anni, il delegato del ministro per il coordinamento dell'ordine e della sicurezza pubblica a livello regionale. Questa è la ragione per cui, ad un certo punto, quando il prefetto lo ritiene - e in questo caso io l'ho ritenuto - non solo partecipa a ben quattro riunioni del comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal ministro dell'interno, e quando lo ritenga, convoca il comitato regionale, il comitato provinciale o le riunioni di servizio. In tutti questi verbali, che sono stati scritti all'istante, come d'abitudine, si sente soltanto il prefetto che parla, ve ne siete accorti? E allora cos'è? Non è un organo collegiale, è forse una platea? Non è vero. I comitati sono momenti di estrema sintesi, si lavora tutti i giorni e, quindi, all'atto dell'incontro periodico, se non si ha
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altro da aggiungere, il prefetto riassume e nel momento in cui riassume calendarizza, responsabilizza ed affida compiti di attuazione che poi verificherà.
In materia di ordine e sicurezza pubblica il concorso delle forze dell'ordine, delle forze di polizia ordinarie, è normale - salvo vedere poi in che rapporto contribuisca l'Arma, la Polizia di Stato, la Guardia di finanza - anche perché, in situazioni normali (pensiamo allo stadio, ad una manifestazione di dissenso e non alla turbolenza di un G8), è necessario che i vertici dei rispettivi livelli di comando siano, ogni tanto, a sedere dinanzi al loro coordinatore. Se non esistesse, il prefetto andrebbe inventato, non perché è bravo, perché fa guai, ma almeno c'è qualcuno che fa guai, altrimenti avremmo tante monotone valutazioni.
Qui non eravamo nella condizione di poter scherzare e già nell'agosto del 2000 - parlo di agosto, un anno prima - io mi preoccupavo (ad agosto, lo ripeto, quando tutti erano in ferie) di convocare tutte le riunioni di comitato e di cominciare ad immaginare quello che si sarebbe dovuto fare per bonificare la città, non contro il Genoa social forum, sia chiaro, ma contro tutti quei rischi ipotetici, ma sicuramente realistici, che si poteva immaginare si profilassero e che invece non si sono verificati. Ecco dov'è l'azione di prevenzione e deterrenza. È facile dire «ma non è successo che si son salvati tutti». Un momento! Quello che poteva succedere non è accaduto per la forza della deterrenza, della previdenza e per l'azione preventiva fatta dalle polizie investigative di tutti paesi che hanno collaborato. I terroristi non sono arrivati. Non mi si dica che non ci sono: ci sono, sparsi per il mondo, e qualche paese aveva veramente paura di poter incontrare un terrorista da queste parti qualche voce annunciava la presenza di terroristi e qualcuno legato a movimenti terroristici è stato anche
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arrestato e identificato, qualche tempo prima, in Genova. Io direi che questo deve essere fondamentale nel ragionamento, perché altrimenti non si comprende tutto quello che è stato fatto prima.
È certo che nessuno, dal un punto di vista particolare, ha interesse - neanche la stampa - a mettere in evidenza ciò che non è accaduto, perché in effetti non è accaduto e quindi: cosa lo diciamo a fare? Invece, oggi c'è bisogno di dire che qualcuno ha sbagliato nel prevedere alcune cose. Certo, il prefetto, ad esempio ha commesso un errore, quello di indicare una linea gialla che poi non è stata rispettata. Su questo devo essere altrettanto documentato, perché è un argomento che mi tocca molto da vicino. In primo luogo, c'è un aspetto che riguarda la natura del provvedimento che è un provvedimento, amministrativo e non un decreto-legge (che il prefetto non può emanare); è pur sempre un provvedimento, lo ripeto, amministrativo che ha superato, a suo tempo, il vaglio, quello vero, quello autentico, quello importante della Corte costituzionale e come tale può essere adottato solo in presenza di certe condizioni. Io, ad un certo punto della mia relazione, ho scritto che l'ordinanza del 2 giugno ha superato il vaglio politico. Qualcuno potrebbe pensare, visto che siamo in una sede politica, che io alludessi ad una valutazione partitica. No, il vaglio politico, come lo considera un prefetto, è un vaglio che non ha niente a che vedere con l'esame del giudice amministrativo. Si tratta di un provvedimento che regge o di un provvedimento che non regge; un provvedimento che sta in piedi; un provvedimento su cui si farà un seminario universitario oppure è un provvedimento qualsiasi, debole, carente e colpevole?
Anche perché le ricerche da me condotte non portano ad individuare un precedente di questo tipo, nonostante l'articolo
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2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931. Quindi è stato, e rimane, l'unico provvedimento a carattere generale che un'autorità locale di pubblica sicurezza, prefetto, abbia mai adottato da quando questo provvedimento è previsto dall'ordinamento. Quindi era difficile, ma se io non avessi inventato - nel senso buono, positivo della parola - un provvedimento di questo genere, mi si insegni, per favore, quale altro provvedimento avrebbe potuto essere adottato alla base di tutte le ordinanze (prima è stata continuamente citata quella del questore, ecco perché io non posso rispondere; quelle domande vanno rivolte al questore), quale provvedimento avrebbe potuto essere padre e madre di tutte le altre sistematiche attuazioni. Perché l'evento internazionale di cui stiamo parlando, non ha, anch'esso, precedenti di alcun genere; ha i suoi precedenti storici (Napoli e due volte Venezia), ma una situazione così complessa a livello internazionale, come quella del G8 di Genova del 2001, non ha precedenti. Allora era difficile poter sostenere una corretta, democratica, previsione di limitazioni alle libertà costituzionalmente riconosciute. Ecco dove c'è la responsabilità del prefetto. Il prefetto ha adottato un provvedimento limitativo, fortemente limitativo di diritti e facoltà riconosciuti dall'ordinamento costituzionale e su questo provvedimento ha costruito un sistema difensivo per raggiungere l'obiettivo principale di carattere internazionale.
Ora, chi mi conosce, ma anche chi non mi conosce, sa perfettamente che un provvedimento del genere è stato adottato solo nell'interesse dei cittadini, nell'interesse di coloro che sono stati a casa e non sono stati esposti, di coloro che hanno evitato, così, di correre rischi, ma anche nell'interesse degli imprenditori, dei lavoratori e dei professionisti. Si sa benissimo
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che questo era l'unico provvedimento che potesse coniugare i doveri e le aspettative, i diritti e gli obblighi.
Inoltre, Genova è lunga 38 chilometri, quindi è chiaro che attorno ad una zona rossa si può solo creare una zona cuscinetto, altrimenti avremmo dovuto chiudere tutta la città; e nella zona gialla non è successo nessun incidente; nella zona gialla (qui riportata in scala), non è successo nulla.
Cosa vuol dire? Che la zona gialla, che ha uno sviluppo lunghissimo, di 13 chilometri, ha svolto, effettivamente, la funzione di cuscinetto. Non è accaduto nulla; è accaduto semplicemente che la zona gialla ha rappresentato il percorso attraverso il quale la violenta forza di sfondamento ha tentato di penetrare. Dico che non è successo niente, perché vorrei togliere di mezzo l'equivoco che una zona gialla potesse essere di protezione. Una zona gialla sarebbe stata di protezione se avesse avuto le stesse caratteristiche della rossa! Allora, avremmo avuto 13 chilometri di sbarramento, ma, in questo caso, tanto valeva chiudere Genova.
Oltre la zona gialla, sono accaduti quei fatti, quegli avvenimenti di cui tutti, ripeto tutti, subiamo, fortemente, un senso di colpa e di sgomento, perché, evidentemente, di fronte ad una previsione così puntuale, certamente, la realtà è stata superiore alle aspettative e alle previsioni. E ho fatto un distinguo tra ciò che può valutare un prefetto e ciò che, invece, altri debbono valutare del prefetto. Credo che il prefetto sia perfettamente consapevole che avrebbe dovuto o prevedere o poter modificare alcune delle realtà di cui egli non era a conoscenza; ma quando le ho conosciute - lo ricordava, ieri, il capo della polizia - ho chiesto, per esempio, dei rinforzi che ho avuto; ho fatto una valutazione che stata ricordata ieri e che è stata, tutto sommato, ritenuta opportuna. Questo vuol dire che non ero distratto: non ero all'aeroporto a ricevere i
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Capi di Stato e di Governo, che doverosamente mi hanno visto alla accoglienza, perché questo era il ruolo del prefetto. Non ero soltanto presente nei luoghi dove si sono svolte le cerimonie di lavoro o anche quelle meno formali, ma ho avuto la continua, costante, attenta cura di conoscere quello che accadeva momento per momento, pronto ad intervenire solo e se la competenza del prefetto lo richiedeva, perché sarebbe un grande errore - ed è un grande errore - non solo disturbare il manovratore, ma entrare d'impeto in competenze tecniche che al prefetto sono inibite, non soltanto vietate: è un'inibizione forte.
Troverete tutto questo nelle fonti normative che ho citato, perché un prefetto che non ha la professionalità tecnica o la possibilità di esercitare una valutazione tecnica potrebbe fare molto più danno, molti più guai di quanto non si immagini. Credo che il problema, come ha spiegato bene il capo della polizia - che ha contribuito, con la sua particolare esperienza e dedizione, ad arricchire la questura di Genova di rinforzi qualitativi e quantitativi di grande rilievo - è che, probabilmente, secondo la sua valutazione, ripeto, qualcosa è stato troppo grosso rispetto al prevedibile. Comunque, per quanto riguarda la zona gialla lascerei questo documento.
MARCO BOATO. Ce l'ha dato, era nel dossier di ieri.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Ha formato oggetto di un'infinità di domande e, direi, anche di legittime curiosità, il percorso relativo agli incontri, non incontri, scontri con il movimento che si chiama Genoa social forum. Ho già detto e documentato - d'altra parte è il contenuto della legge n. 149 - che alla complessa organizzazione del vertice (quindi, intendendo per organizzazione tutto) dovesse provvedere la cosiddetta struttura di missione. Questa struttura di missione
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viene definita, fin dai primi mesi del 2000, nel disegno di legge del Governo, che avverte l'opportunità che anche la struttura di missione cominci almeno a constatare se il territorio sia in grado o meno di ospitare adeguatamente l'evento. Quando, poi, il disegno di legge viene approvato e noi cominciamo ad operare con la commissione speciale, accade che la struttura di missione ha soltanto un capo missione e non ha ancora dei componenti riconoscibili e qualificati. Quindi, per prima cosa, Genova conosce il ministro plenipotenziario Vinci Giacchi, il quale si reca a Genova e si qualifica correttamente quale capo della struttura di missione per il G8.
Sembrerà abbastanza normale che lo stesso presidente Amato, ad un certo punto, si accorga che, forse, vi sono troppi «galli nel pollaio». Pertanto, quando assume la Presidenza italiana del G8, convoca la riunione di cui parlavo questa mattina in cui vi è la presentazione del logo e, in un certo senso, l'assunzione diretta di responsabilità. Il 19 gennaio scrive una lettera indirizzata a Sandro Biasotti, Marta Vincenzi, Giuseppe Pericu e ad Achille Vinci Giacchi. Io la ricevo a parte, perché vi è scritto (ve la lascio): «Al fine di conseguire il miglior risultato, è fondamentale che la struttura di missione, istituita dal Governo ai sensi della legge... operi in stretto coordinamento con le istituzioni locali così come, peraltro, è stato fatto finora». Pensate! Quindi, non è vero: il Governo ha sempre collaborato con le istituzioni locali e viceversa. «Però, per fare meglio, e di più, riterrei opportuno» - quando lo dice il Capo del Governo è una direttiva per un prefetto - «che presso l'ufficio territoriale del Governo» - quelle che una volta erano le prefetture - «su iniziativa del prefetto si realizzi un costante raccordo tra le istituzioni locali e la struttura di missione diretta dal ministro Achille Vinci Giacchi. Sarà così disponibile un essenziale numero di monitoraggio
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e di coordinamento di tutta la complessa attività di organizzazione del vertice». Qui non siamo in materia di sicurezza. Siano in materia di organizzazione.
Quindi, c'è un momento che riguarda i lavori pubblici: la città che cambia, che si fa più bella, più superba che mai; una commissione speciale: prefetto, presidente; l'organizzazione del vertice: struttura di missione, Governo, enti locali, prefetto titolare dell'UTG. Poi abbiamo il blocco della sicurezza di cui, forse, dobbiamo ancora parlare. A questo punto comincia un percorso che non avrebbe dovuto avere più sosta; perché, regione, provincia e comune operano molto entusiasticamente anche al fine di ricavare quegli effetti positivi per la città, la provincia e la regione, che tutti abbiamo desiderato, ma che, in parte, non si sono avverati. Dico questo, perché è molto importante ricordare che a questo punto il coordinamento nazionale delle organizzazioni firmatarie del cosiddetto patto di lavoro, presenti il sindaco, il presidente della provincia e un delegato del presidente della regione, vengono in prefettura e presentano un documento che si chiama patto di lavoro. Credo che adesso sia più chiaro il percorso: è accaduto che il Presidente del Consiglio impartisce questa direttiva, la quale viene pubblicata da tutti i giornali, e il patto del lavoro si presenta alle persone che sono state indicate qui nella documentazione. Visto che avremmo dovuto riferire tutti insieme nel corso di una riunione indetta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, il giorno 30 gennaio, prefetto, presidente della regione e presidenza della provincia e sindaco si incontrano e decidono di portare questa informativa al Governo. Per tutta risposta il 30 gennaio (dal 19 gennaio sono passati 20 giorni) ci viene comunicato che non è così e che da ora in avanti si occuperà di dialogare con le associazioni della società
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civile - le organizzazioni non governative - l'architetto Margherita Paolini. Il 2 di febbraio il Presidente del Consiglio Amato delega il ministro Dini...
MARCO BOATO. Può specificare la veste istituzionale di questa persona, l'architetto Margherita Paolini?
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Le leggo la lettera: «...desidero anche dirle, con l'assenso della Presidenza del Consiglio che questa struttura ha affidato all'architetto Margherita Paolini un incarico di coordinamento di tutte le iniziative riconducibili ad organizzazioni non governative. Sarei perciò lieto se i contatti che le autorità locali vorranno prendere con possibili contestatori siano tenuti in stretto contatto con l'architetto Paolini, reperibile tramite la struttura».
MARCO BOATO. La lettera di chi è?
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. È del ministro plenipotenziario Achille Vinci Giacchi, indirizzata al prefetto.
MARCO BOATO. È la struttura di missione che indica...
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Voi capite, a questo punto, molte domande che mi avete posto vengono ad avere una diversa risposta, perché a quel punto l'architetto Paolini si reca a Genova, tiene un incontro - quello a cui fanno riferimento il presidente Biasotti, la presidente Vincenzi e il sindaco - in cui si auspica (compreso me) che queste manifestazioni, di qualunque tipo, pacifiche e non pacifiche, non abbiamo ad impegnare Genova nella settimana dal 15 al 22, ma nella realtà, nulla altro si decide che raccogliere una serie di proposte e portarle alla struttura di missione. E siamo a febbraio...
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FABRIZIO CICCHITTO. Signor prefetto, ci può lasciare queste carte?
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Sì, ve le lascio tutte. Arrivati a questo punto, apparentemente non succede più niente.
NITTO FRANCESCO PALMA. L'architetto Paolini che veste aveva? Era funzionario di quale amministrazione?
PRESIDENTE. Ha letto la lettera, poi eventualmente lo stabiliremo noi. Non occorre rivolgere ulteriori domande.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. A quel punto succede che le associazioni del dissenso decidono di organizzare un Telegram day. Vi ricorderete tutti che il 4 aprile, il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio e tutti quelli che loro ritenevano destinatari furono raggiunti da un'infinità di e-mail, fax e telegrammi e fu organizzato un sit-in davanti al Viminale. A quel punto, il Presidente Amato convoca una riunione il 4, alla quale partecipano i ministri Bianco e Dini, e fa la stessa cosa che aveva fatto il 10 gennaio, dicendo: «Prefetto, continui lei ha sentire di che si tratta». Infatti, bisognava ancora capire esattamente con chi si stesse realmente interloquendo (se patto di lavoro, rete antiG8, Genoa social forum, e così via). È in questo contesto che il giorno 5, per incarico del ministro Bianco, incontro, assieme al collega Sorge, capo di gabinetto, una delegazione delle associazioni del dissenso...
LUCIANO VIOLANTE. Scusi prefetto, associazioni del dissenso vuol dire organizzazioni non governative? Ma sono due cose distinte, perché quelle non governative non sono necessariamente del dissenso, anzi, molto spesso sono del consenso.
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ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Loro erano del dissenso o meglio, ognuno si presentava con il proprio connotato; quindi, Agnoletto, come presidente della lega antiAIDS, la Bolini si è presentata come ARCI, l'ex onorevole come esponente di Rifondazione comunista, cioè ognuno si è presentato come se stesso, però tutti insieme come facenti parte di quel Genoa social forum che nel frattempo si era costituito e che da quel momento avrebbe dovuto far pervenire al Governo una richiesta riassuntiva di tutto. Infatti, ci lasciamo con questo impegno. L'11 di aprile arriva al prefetto un documento firmato dalle organizzazioni aderenti al Genoa social forum; si tratta di quel documento che io poi mando (per conoscenza) al sindaco, al presidente della provincia, al presidente della regione, nel quale si dice: «Abbiamo appreso con piacere che in occasione dell'incontro al Viminale sia stato comunicato ufficialmente...»: chi poteva comunicarlo ufficialmente? C'ero io e il collega Sorge. Si dice addirittura ufficialmente che il Governo, a suo tempo, nella sua collegialità, avrebbe deciso o non deciso per la sospensione del trattato di Schengen; cose che non erano possibili.
LUCIANO VIOLANTE. È vero.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Io comunque c'ero e queste cose non le ho dette. Quindi a quel punto non ho pensato che la lettera...
MICHELE SAPONARA. Chi c'era? C'è un verbale?
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. C'ero io.
PRESIDENTE. L'ha già detto: erano presenti il ministro Bianco, il dottor Sorge ed il prefetto Di Giovine. Poi allegherà i documenti.
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ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Non ho il verbale di quella riunione al Viminale. Non bisogna con ciò fraintendere quello che sto dicendo in quanto non sto facendo il tifo per una tesi o per l'altra, ma sto ricostruendo le emozioni di quei giorni.
Dicevo che questo è il primo documento di sintesi di tutto ciò che si era pensato di chiedere, che si chiedeva o che si sarebbe immaginato di dover chiedere. È, quindi, in buona sostanza, proprio l'indicazione, quasi esaustiva in quanto verrà superato soltanto da una richiesta successiva, di piazza tematiche, luoghi per l'accoglienza, per i dibattiti, per i cortei. Tutto ciò con dettagli che dovevo sottoporre necessariamente all'attenzione delle amministrazioni degli enti locali in quanto presupponevano un esborso di danaro, che poi non vi è stato. Per esempio, l'individuazione di uno spazio per segreteria organizzativa e ufficio stampa, attrezzato di 5 postazioni di computer, 2 fax, 4 linee telefoniche e 2 fotocopiatrici. La richiesta era quella di ottenere tutto ciò a spese degli enti locali ed in quel momento nasce l'esigenza di trasferire a regione, provincia e comune, questo tipo di richiesta.
Il 20 aprile loro si presentano ad un incontro in prefettura, dove viene illustrato in maniera ancora più dettagliata tutto ciò che è illustrato nel documento dell'11 di aprile. Nel corso di tale incontro, non avendo altra legittimazione che quella di ascoltare per conto del Governo, non di decidere per esso, registro il tentativo della regione, della provincia e del comune di convincere i richiedenti ad anticipare le manifestazioni alla settimana precedente il 15. Tentativo che hanno fatto tutti e per tutte le manifestazioni: nessuno ha rinunciato a tale intento. Vengono svolte prima le manifestazioni di stampo culturale, di preghiera, insomma di tutto (anche la CEI anticipò di 15 giorni). Tutti hanno subito un'anticipazione, ma
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loro dissero che anticipare non avrebbe avuto senso, in quanto le loro manifestazioni tematiche, i dibattiti ed altro, avrebbero dovuto tenersi necessariamente nella contestualità e nella contemporaneità.
Capite bene che la data del 20 aprile non rimane senza altri riferimenti. Dal 20 aprile, data in cui io riferisco al Governo della immutabilità delle richieste (anche se non ve ne era bisogno in quanto tutti i giornali ne avevano parlato), occorreva che accadessero due cose. Bisognava che qualcuno stabilisse chi doveva pagare le spese e ciò è stato fatto con la legge di conversione del decreto-legge: a quel punto, a prescindere dal destinatario, qualcuno doveva pur spendere i tre miliardi. Poi occorreva - ed è la cosa più importante - stabilire se, ed a quali condizioni, si sarebbe potuto far coincidere, nel tempo e nello spazio, il vertice e l'antivertice. Per fornire tale risposta più che quella finanziaria (che di lì a poco si sarebbe realizzata con una proposta anche dell'onorevole Mascia: non costituiva un problema) bisognava sapere definitivamente dove si sarebbe svolto il vertice vero, in quanto ancora non si aveva a quel tempo la certezza che tutti i Capi di Stato e di Governo avrebbero accettato di essere ospiti della European vision (e in effetti così non fu in quanto il presidente Bush scelse l'albergo). Fino a quando non si fosse indotto taluno o talaltro a rinunciare all'idea di andare in Tigullio, magari a Santa Margherita, a Palo o a Portofino, noi eravamo in attesa di capire quale avrebbe potuto essere la piazza tematica, la sede di un centro stampa o, eventualmente, la sede o il percorso di un corteo. Ecco perché il piano della sicurezza è stato elaborato più volte: ogni volta si prevedevano scenari diversi e tali scenari venivano messi a confronto con realtà che potevano essere diverse. Quindi, erano stati richiesti 18.000 uomini in quanto allora si pensava che si andasse tra Genova,
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il Tigullio e il Ponente; poi, il 16 novembre di fatto furono garantiti 10.000 uomini e siamo arrivati a circa - i numeri sono stati forniti dal ministro e dal capo della polizia - 15.000 uomini quando lo scenario diventa definitivo. Credo che anche ciò sia importante in quanto mi pare di capire che l'altra questione rilevante che proviene da quasi tutte...
GIANNICOLA SINISI. Quando lo scenario diventa definitivo?
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. La delegazione americana sciolse le sue riserve verso la fine di giugno: con l'ultima verifica in quanto erano in dubbio e avevano molta preoccupazione sempre per ragioni attinenti alla sicurezza dall'esterno. Quindi arriviamo veramente a cavallo dell'evento e fino a quel momento...
FRANCO BASSANINI. Quindi, avendo i necessari elementi, avete elaborato i piani definitivi a fine giugno?
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. A tutti, presidente, viene spontaneo parlare di un piano. La pianificazione è un sistema di progetti...
MARCO BOATO. Work in progress!
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. È chiaro che alla fine viene elaborata una pianificazione, un censimento delle risorse rispetto al fabbisogno. Si calibra ciò che entra e ciò che esce - permettetemi l'esempio forse ispirato dall'ora - in una dispensa: tanto devo produrre per servire gli ospiti, tanto devo introitare, e poi sarà il cuoco a non dover sbagliare in quanto, se si usa troppo dell'uno o poco dell'altro, forse ci si troverà alla fine con alcuni ospiti non serviti o serviti male.
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Non vi era bisogno di svolgere cento volte la stessa sperimentazione in quanto il modello era in parte condizionato e in parte, evidentemente, condizionato favorevolmente.
La questione di fondo è l'analisi, lo screening: come si fa a stabilire se uno è buono o cattivo? La domanda di molti è: chi, a un certo punto, ha deciso che cosa? Non vi è alcun mistero in quanto vi è stato un incontro dei ministri degli affari esteri e dell'interno con i rappresentanti del Genoa social forum, lo hanno pubblicato tutti giornali, l'hanno ammesso i ministri...
MARCO BOATO. È stato detto in Parlamento.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. È stato detto in Parlamento. A quel punto è stato detto al capo della polizia di andare a Genova e di visionare gli aspetti tecnici di adattamento di tale decisione.
Credo che la collaborazione del capo della polizia, che è il massimo esponente della responsabilità tecnica, non dovesse essere avvertita dal prefetto come un limite o un condizionamento. Il capo della polizia, infatti, incontra i suoi interlocutori in prefettura ed il prefetto avverte di non essere soltanto un padrone di casa, gentile ed ospitale, ma di essere il titolare dell'ufficio del prefetto, che naturalmente limita la propria competenza là dove inizia qualunque valutazione di ordine tecnico, di polizia giudiziaria di polizia di sicurezza, per le perquisizioni e per l'operatività concreta: egli non è preventivamente informato né delle perquisizione o degli atti di polizia giudiziaria, né se un atto emesso dall'autorità giudiziaria interessa un pubblico amministratore o un uomo pubblico. D'altra parte le regole sono che il prefetto deve non saperlo ed io ho sempre incontrato magistrati inquirenti che non mi hanno mai detto niente prima, anche quando hanno
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proceduto contro di me per reati colposi (se lo ricorda, presidente Violante?).
Il prefetto è stato informato successivamente perché solo allora esisteva una ricaduta negativa sull'ordine pubblico, che era impossibile non riferirmi. In quel momento, mi sono preoccupato ed ho chiesto che qualunque risultanza fosse immediatamente rapportata all'autorità giudiziaria; la quale cosa è accaduta regolarmente. Non conoscono naturalmente i rapporti forniti all'autorità giudiziaria...
MARCO BOATO. Si riferisce a quelli del 20 e del 21?
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Mi riferisco a tutte le otto inchieste che l'autorità giudiziaria ha in corso. Di quegli atti e di quei documenti non ho alcuna conoscenza e non ho alcuna ragione per dolermi di questo. Come infatti ho detto stamattina, questi atti debbono essere necessariamente sottratti alla competenza del prefetto, per cui ho le stesse notizie che hanno i comuni cittadini. Qualcuno mi ha detto che sicuramente mi sarò fatto un'idea, ma è la stessa domanda che avete rivolto a più interlocutori, tra i quali quello a cui guardo con maggiore interesse, riconoscendogli professionalità e qualità valutative, è il capo della polizia, che ieri ha risposto - se non erro - che qualora saranno comprovati eccessi, questi saranno perseguiti e qualora, saranno dimostrati errori di valutazione, essi saranno altrettanto rimarcati. Vuol dire che, se esiste una premessa certa e una decisione al futuro prossimo, allo stato attuale anche il capo della polizia non possiede tutti gli elementi utili per una valutazione. Il prefetto di Genova, quando avrà ulteriori elementi di valutazione e di conoscenza, non mancherà di esprimere il proprio punto di vista.
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Ho taciuto in queste settimane e qualcuno ha pensato che fosse un modo patetico di reagire, ma il prefetto non parla per creare motivo di strumentalizzazione; non dice niente quando tace; tacendo insomma non acconsente. Parla solo quando ha ragione di parlare ed una sola volta. Non parla oggi per poi cambiare idea domani.
MARCO BOATO. Comunque, prefetto, questa è la sede giusta per esprimere le sue valutazioni, se lo ritiene.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. È però una sede in cui tutto quello che sto dicendo è trasmesso...
MARCO BOATO. È un'indagine parlamentare.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Sicuro, ma non mi sono limitato nell'esprimere un giudizio.
MARCO BOATO. Comunque, è la sede opportuna.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Sicuramente. Ma non cambia nulla ed io non ho segreti.
PRESIDENTE. L'abbiamo sollecitata, ma non è servito. È una sua posizione personale che non aggiunge o toglie nulla.
ANTONIO DI GIOVINE, Prefetto di Genova. Non ho segreti. Vi dico semplicemente che la mia responsabilità è di aver fatto scelte senza le quali non se ne potevano fare altre. La mia responsabilità si è materializzata in atti documentali che hanno subito diversi esami.
Ora, se i giudizi sono stati positivi, significa che ho fatto bene, altrimenti, che ho fatto male. Ma non posso trasferire ad altri le mie colpe, come non posso assumermi responsabilità che non mi appartengono. È necessario quindi che voi
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conosciate tutto il percorso. Certo, sarebbe stato diverso se fossi stato chiamato per farvi un racconto che comincia con un «c'era una volta» e termina con un «e tutti andarono a casa felici e contenti». Peraltro, dovendovi fornire risposte, può darsi che molti degli, onorevoli membri del Comitato, abbiano da me un'impressione di reticenza. Magari ognuno aspetta la risposta alla propria domanda, però, se ritenete che così vi abbia risposto, vi ringrazio. Lascerò agli atti quelle poche considerazioni che ho espresso e qualunque ulteriore richiesta sarà comunque evasa ad horas.
PRESIDENTE. Grazie, signor prefetto; acquisiamo i documenti di cui ha parlato, essendo sua cura ordinarli e consegnarli.
Sospendo la seduta che, non essendovi obiezioni, riprenderà alle 15,30 con la prevista audizione del dottor Di Somma.
La seduta, sospesa alle 14,15, è ripresa alle 15,35.
Audizione del Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Emilio Di Somma.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui fatti accaduti in occasione del vertice G8 tenutosi a Genova, l'audizione del vicedirettore del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Emilio Di Somma. Il dottor Di Somma chiede di essere accompagnato dalla dottoressa Metella Romana Pasquini Peruzzi. Non essendovi obiezioni, può rimanere così stabilito.
Prima di dare inizio all'audizione in titolo, ricordo che l'indagine ha natura meramente conoscitiva e non inquisitoria.
La pubblicità delle sedute del Comitato è realizzata secondo le forme consuete previste dagli articoli 65 e 144 del regolamento
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della Camera, che prevedono la resocontazione stenografica della seduta.
La pubblicità dei lavori è garantita, salvo obiezioni da parte di componenti il Comitato, anche mediante attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso, che consente alla stampa di seguire lo svolgimento dei lavori in separati locali.
Non essendovi obiezioni, dispongo l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.
Dottor Di Somma, lei è qui non so se in sostituzione del capo del suo dipartimento oppure perché egli ha ritenuto di inviarla, essendo lei persona che ha curato l'organizzazione del DAP per le vicende che interessano questo Comitato. Se ha portato con sé una relazione, eventualmente sarà sua cura depositarla presso il Comitato; le chiedo comunque di darci contezza di quello che è avvenuto dal punto di vista del vostro dipartimento.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sono qui in sostituzione del dottor Tinebra, il quale, come credo tutti saprete, ha preso possesso dell'incarico solamente il 2 agosto. Essendo io vicecapo del dipartimento dal dicembre dello scorso anno, sono sicuramente a conoscenza dello svolgimento dei fatti e delle procedure che l'amministrazione ha seguito nell'organizzare la sua partecipazione alla gestione del vertice G8. Non ho con me una relazione in questo momento, posso eventualmente depositare un testo nel corso della giornata di domani; ho comunque una scaletta sulla base della quale cercherò di spiegare quali sono stati i compiti che la polizia penitenziaria - uno dei corpi della Polizia di Stato - è stata chiamata a svolgere all'interno della più vasta organizzazione del servizio di sicurezza legato allo svolgimento del G8.
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In alcuni comitati nazionali per l'ordine e la sicurezza pubblica venne deciso che l'amministrazione penitenziaria facesse sostanzialmente la sua parte, contribuendo all'organizzazione dell'attività delle altre forze di polizia, essenzialmente - come è naturale che sia, considerati i compiti precipui del corpo di polizia penitenziaria - per quanto riguarda la ricezione di soggetti eventualmente arrestati in occasione di disordini che si immaginava si dovessero poter verificare, come poi è accaduto, e la loro successiva traduzione presso i penitenziari destinati ad ospitarli.
Credo sia noto a tutti che il corpo di polizia penitenziaria ha assunto il compito delle traduzioni dei detenuti arrestati a partire dal 1o aprile 1996 con una certa gradualità, conclusasi, se non ricordo male, nel 1999. Si tratta quindi di un'attività limitata alla ricezione degli arrestati e alla traduzione degli stessi, senza nessun compito e nessuna funzione attinente all'ordine pubblico, che istituzionalmente compete ad altre forze di polizia.
Vi era comunque una serie di attività, sia pure sicuramente più limitate rispetto a quelle delle altre forze di polizia, da porre in essere affinché fossero eseguiti nel modo migliore tali compiti, i quali comportavano la necessità di impiantarsi effettivamente nella città di Genova. L'allora capo del dipartimento facente funzioni, che era il dottor Mancuso - essendo andato via il dottor Caselli - affidò, l'incarico di pianificare queste operazioni al direttore dell'ufficio centrale dell'ispettorato del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Alfonso Sabella. Al dottor Sabella è stato quindi affidato il compito di coordinare l'organizzazione, l'operatività ed il controllo sulle attività che l'amministrazione era stata chiamata a svolgere.
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La necessità di inviare un rappresentante dell'amministrazione centrale che svolgesse questa attività di coordinamento nasceva dall'esigenza di coordinare attività di più organismi regionali (vari provveditorati regionali, vari istituti penitenziari) coinvolti nell'organizzazione e soprattutto di garantire una snellezza di interventi direttamente in sede nella città di Genova, realizzando attività di stretta competenza dell'amministrazione centrale attraverso un suo rappresentante in loco.
Quindi, il dottor Sabella ha predisposto un piano programmatico di interventi molto dettagliato e molto articolato, essenzialmente fondato sulla necessità di escludere gli istituti penitenziari di Genova dalla accettazione delle persone che si pensava potessero essere arrestate nei giorni immediatamente precedenti e concomitanti allo svolgimento del vertice.
Per l'occasione, venivano individuati gli istituti di Alessandria, di Pavia, di Vercelli e di Voghera, ritenuti sedi penitenziarie idonee ad ospitare questi detenuti. Tali sedi sono state alleggerite in quel periodo di un certo numero di presenze tale da consentire la migliore ricezione di nuovi soggetti. Secondo le previsioni, si riteneva che il numero degli arrestati nel corso di quei giorni sarebbe stato oscillante tra le 300 e le 1000 persone, a seconda dei momenti, poiché non si era in grado di operare una stima puntuale; si è poi visto che il numero si è avvicinato alla stima di 500 persone.
Svolta questa prima operazione, si decise di istituire due siti penitenziari, uno presso la palazzina logistica della caserma dei carabinieri a Forte San Giuliano, per gli arrestati dai carabinieri, l'altro presso la cosiddetta ex caserma dell'esercito del reparto mobile della Polizia di Stato di Bolzaneto, per gli arrestati dalla Polizia di Stato, individuate come sedi distaccate degli istituti sopra menzionati (Alessandria, Pavia, Vercelli e Voghera). Presso tali sedi, istituite con decreto ministeriale,
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perché per poterle qualificare sedi penitenziarie o sedi distaccate di sedi penitenziarie è necessario un decreto del ministro....
MARCO BOATO. In che data?
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Il decreto è del 12 luglio 2001. Tali sedi sono state poi dismesse alle ore 8 del 23 luglio del 2001. Esse dovevano servire per le operazioni di immatricolazione e di prima visita per le persone arrestate, rispettivamente dai carabinieri e dalla Polizia di Stato.
In quest'articolata disposizione predisposta dal coordinatore, fu anche previsto che i soggetti portatori di patologie, o lesioni, ritenute incompatibili con la detenzione carceraria venissero condotti presso gli ospedali San Martino e Sampierdarena per essere lì ricoverati, essendo però sempre piantonati dal personale di polizia penitenziaria perché, oltre alla traduzione, spetta alla polizia penitenziaria anche il compito del piantonamento. Era stata anche prevista la possibilità di utilizzare un servizio navale nel caso in cui ci fossero da tradurre detenuti di particolarissima pericolosità, in modo da evitare l'attraversamento dei percorsi cittadini, o comunque poco lontani dalla città.
Lo dico solo per notizia ma, prevedendo che tra i manifestanti potessero esservi anche dei soggetti minorenni, presso la casa circondariale di Milano Bollate fu aperta, sempre con un altro decreto del ministro della giustizia, una sezione di prima accoglienza, quindi una porzione di un centro di prima accoglienza, che è una delle denominazioni che caratterizzano gli istituti per minori, destinata ad ospitare arrestati o fermati minorenni. Si trattava, però, di una competenza del dipartimento della giustizia minorile - o direzione generale della
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giustizia minorile, se così la si vuole ancora chiamare - e non nostra, perchè il dipartimento della giustizia minorile ha una sua autonomia e rappresenta una realtà diversa da noi. Credo, comunque, di ricordare che nessun minorenne sia stato ospitato in questa struttura, ma non ne sono sicurissimo.
Per poter far fronte a tutte queste esigenze, così come le ho prospettate, il capo del dipartimento facente funzioni, d'intesa con il coordinatore, hanno deciso di disporre l'impiego di 150 unità di personale di polizia penitenziaria, prelevato da diversi istituti e mandato quindi in servizio di missione, per lo svolgimento di tutte le attività connesse alla ricezione, al trasferimento e alla traduzione delle persone arrestate. A dirigere questo servizio è stato chiamato il generale di brigata, appartenente al disciolto corpo degli agenti di custodia, Claudio Ricci, il quale già ricopre come suo incarico istituzionale quotidiano la responsabilità del servizio centrale traduzioni e piantonamenti dell'amministrazione penitenziaria. Sono stati poi forniti al servizio 67 veicoli, ovviamente prelevati dalle nostre varie sedi regionali, per costituire la dotazione utile perché fossero realizzate le traduzioni. È di tutta evidenza che al personale chiamato a svolgere questo incarico è stato dato tutto il materiale, cioè gli apparati portatili e le dotazioni individuali, necessario per lo svolgimento ordinario del servizio.
Oltre a queste 150 unità di personale destinate solo ed esclusivamente al servizio della ricezione e al trasferimento delle persone arrestate, sono state destinate a Genova 171 unità di polizia penitenziaria impiegate alle dipendenze del gruppo operativo mobile. I compiti affidati a tale gruppo in relazione alle attività che la polizia penitenziaria era chiamata a svolgere a Genova erano, e sono stati, solo e soltanto compiti esclusivi di attività di supporto al servizio delle traduzioni. La
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responsabilità del servizio è stata affidata a chi quotidianamente ricopre l'incarico di responsabile del gruppo operativo mobile, il generale Mattiello, anch'egli generale di brigata del disciolto corpo degli agenti di custodia. Queste 171 unità sono state suddivise in 12 squadre, ognuna composta di nove unità, affidate alla responsabilità di un ispettore. In via preliminare, ancor prima che iniziassero i lavori del vertice, il compito affidato a queste squadre è stato quello di studiare e di percorrere gli itinerari predisposti al fine di poter offrire un adeguato sostegno alle colonne delle traduzioni che avrebbero dovuto raggiungere gli istituti penitenziari veri e propri. Queste unità, durante le ore della giornata, quando non erano impegnate nel servizio di sostegno e di supporto alle traduzioni stesse, quindi di garanzia della sicurezza della traduzione stessa, venivano fatte sostare esclusivamente all'esterno degli edifici utilizzati per le operazioni di ricezione degli arrestati, appunto con compiti di supporto tecnico-logistico per le relative traduzioni. Il GOM ha effettivamente svolto due interventi attivi, ma legati alla difesa di Marassi, che, come sapete, è stato oggetto di un attacco da parte di manifestanti, e di Forte San Giuliano, anch'esso attaccato: su ciò, dirò comunque qualcos'altro nel prosieguo. Anche il GOM è stato, ovviamente, dotato dei mezzi necessari per lo svolgimento dell'incarico, che sono quelli che normalmente ha in dotazione.
Per essere sicuri fino in fondo che si fosse nelle condizioni giuste per far fronte a qualunque evenienza, venne richiesto anche a quattro provveditorati regionali, quelli territorialmente più vicini (Torino, Milano, Bologna, Firenze) di individuare un contingente di 30 unità di personale di polizia penitenziaria per un pronto impiego in caso di necessità. Questi rinforzi non sono serviti, se non con riferimento ai
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provveditorati di Bologna e di Firenze, in momenti particolari (Commenti del deputato Boato)... no, non è successo a Bologna. Avevamo pensato di avere, oltre agli uomini presenti fisicamente a Genova, altri quattro gruppi composti di 30 unità ciascuno, pronti ad intervenire: di questi, sono serviti soltanto il nucleo di Bologna ed il nucleo di Firenze per un'integrazione delle attività che stavano svolgendo gli uomini già in servizio a Genova.
Abbiamo utilizzato anche tre motovedette, perché avevamo immaginato che potesse essere utile disporre anche di un servizio navale, e quattro autoambulanze, due per ciascun sito penitenziario.
Per ciascun sito penitenziario - per siti penitenziari intendo quelli istituiti presso San Giuliano e presso Bolzaneto - è stato previsto un ispettore di polizia penitenziaria responsabile della sicurezza ed essenzialmente dell'organizzazione dei servizi. Ciò è stato puntualmente previsto in una disposizione a firma del dottor Sabella. Presso ciascun sito penitenziario è stato, inoltre, previsto che fosse presente un ufficiale del disciolto corpo degli agenti di custodia con il compito essenzialmente di dirigere le operazioni relative alle traduzioni dei detenuti ed al piantonamento presso gli ospedali cittadini, cosa che si è rivelata poi necessaria. È stato anche nominato un ispettore di polizia penitenziaria responsabile per ciascuna matricola: quindi, presso ciascun sito penitenziario vi era anche un ufficio matricola; così come è stato anche nominato un responsabile di area sanitaria, quindi un dirigente sanitario coordinatore presso ciascuno dei siti penitenziari, con turni di servizio durante i quali erano presenti due medici e tre infermieri, quindi tre appartenenti al personale paramedico per turno.
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Le persone complessivamente immatricolate nei due siti penitenziari sono state 279, di cui 65 donne e 214 uomini. Ad oggi, mi risulta che, di queste 279 persone, 247 siano state scarcerate, ma apprendevo poco fa dalle notizie ANSA che vi sono state ulteriori scarcerazioni. I detenuti stranieri risultavano appartenere a 23 nazionalità diverse, mentre i ricoverati in strutture ospedaliere esterne sono stati soltanto 20 unità. Per Bolzaneto, lo ripeto, c'era un ispettore di polizia penitenziaria responsabile di quel sito, ed era l'ispettore Antonio Gugliotta, mentre i responsabili del servizio traduzioni e piantonamenti di tale sito erano i capitani Bruno Pelliccia ed Ernesto Cimini. Gli immatricolati, quindi coloro che venivano presi in carico dalla polizia penitenziaria, sono stati, a Bolzaneto, 222.
Come si svolgevano le operazioni all'atto dell'arrivo degli arrestati a Bolzaneto e quindi anche a San Giuliano? Le persone in stato di fermo venivano accompagnate dalla forza di polizia che li aveva fermati al sito stesso, quindi si svolgevano le operazioni di identificazione (fotosegnalamento e redazione e notifica del verbale di arresto); per la verità queste procedure, in alcuni casi, si sono protratte, richiedendo un notevole lasso di tempo e pertanto il momento in cui ci venivano consegnati era a volte abbastanza lontano dal momento dell'arrivo nei due siti. Quindi dopo queste operazioni, i fermati venivano consegnati alla polizia penitenziaria che provvedeva alla immatricolazione, alla perquisizione (quindi alle procedure di rito, quelle che normalmente si fanno in qualunque istituto penitenziario all'atto dell'arresto) e alla visita medica. Va detto anche, però, che all'arrivo nei due siti, le persone arrestate venivano sottoposte ad una prima visita molto sommaria (da parte di medici messi a disposizione dall'amministrazione penitenziaria per la circostanza); questo
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già al momento dell'uscita dai mezzi di trasporto delle forze di polizia, per verificare, in modo anche sommario ma immediato, l'eventuale esigenza di cure immediate o addirittura di ricoveri ospedalieri se del caso.
Per Bolzaneto ...Compiute le operazioni di immatricolazione, perquisizione e di visita medica, che sono - e sono state - di competenza della polizia penitenziaria, le persone già identificate, immatricolate, perquisite e sottoposte a visita medica, venivano concentrate in due locali. Per la precisione, ricordo che inizialmente si trattava di un solo locale, poi - a partire dal giorno 20 - ce ne è stato messo a disposizione un altro. Mentre nove degli altri locali... (ho anche una piantina, nel caso dovesse servire la posso lasciare).
MARCO BOATO. Sarebbe opportuno che ce la lasciasse.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Oppure la faccio avere domani insieme agli altri documenti. Dicevo che le altre nove stanze erano destinate alla Polizia di Stato. Queste due stanze erano presidiate: davanti al cancello, o porta che sia (non conosco il posto), vi era un appartenente alla polizia penitenziaria.
Tra il 21 e il 23 luglio sono state effettuate, complessivamente, 15 traduzioni da Bolzaneto verso gli istituti penitenziari veri e propri.
A proposito di San Giuliano, ricordo che, anche qui, vi era un responsabile nella persona dell'ispettore Colazzo; mentre la responsabilità del servizio traduzioni e piantonamenti è stata affidata ai capitani Mario Coletta e Giuseppe Zito. A San Giuliano sono state immatricolate 57 persone; qui la situazione era evidentemente diversa perché, in mancanza di celle, gli arrestati venivano ospitati lungo un corridoio (che doveva evidentemente essere adiacente ai locali destinati all'ufficio
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matricola, al casellario ed al presidio sanitario), in attesa di essere sottoposti alle procedure di rito previste dall'ordinamento penitenziario. Da Forte San Giuliano sono state effettuate, dal 20 al 23 luglio, solo sei traduzioni.
La circostanza cui facevo riferimento prima e per la quale mi riservavo di dire qualcosa è la seguente: proprio il 20 luglio, un gruppo di manifestanti ha cominciato a lanciare sassi oltre la porta carraia di questo forte, danneggiando autovetture, cercando di varcare l'ingresso principale della caserma e distruggendo telecamere e vetri blindati; in questa occasione, il personale di polizia penitenziaria è intervenuto e questa è stata, sostanzialmente, l'unica operazione di ordine pubblico (o di «para» ordine pubblico) che è stata svolta, tutto questo senza mai entrare in contatto con i manifestanti. Per questa operazione, il personale di polizia penitenziaria ha ricevuto anche il plauso del comandante provinciale dell'Arma dei carabinieri (come è agli atti). Lasciati i siti, gli arrestati raggiungevano gli istituti penitenziari.
Agli istituti penitenziari sono state impartite precise disposizioni dal coordinatore del servizio in Genova, il dottor Sabella, in ordine alle modalità con le quali bisognava accogliere gli arrestati; non perché queste dovessero essere modalità diverse da quelle consuete, ma solo e soltanto per sottolineare come andasse prestata un'attenzione particolare, tenuto conto anche della circostanza e del modo particolari in cui si verificavano questi arresti. Quindi, si tratta di una ripetizione di operazioni che avvengono normalmente, accompagnata da un invito ad essere ancora più attenti di quanto normalmente non lo si sia in queste circostanze.
Tutti i nuovi giunti (in gergo penitenziario gli arrestati si chiamano «nuovi giunti») sono stati visitati all'atto dell'ingresso e dobbiamo dire che dalle certificazioni sanitarie
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acquisite non si è riscontrata una discordanza tra le certificazioni fatte all'atto della ricezione nei due siti penitenziari di San Giuliano e Bolzaneto e quelle fatte di nuovo presso gli istituti penitenziari dove, per la verità, sono poi state sicuramente svolte visite molto più approfondite. Non ci risulta, peraltro, che siano state sporte denunce all'autorità giudiziaria per maltrattamenti operati all'interno degli istituti da parte del personale di polizia penitenziaria.
Il giorno 26 apparve il primo articolo sul quotidiano la Repubblicain cui si parlava di pestaggi sistematici, posti in essere dalla polizia penitenziaria; a seguito della pubblicazione di quell'articolo, nella stessa giornata, l'allora capo del dipartimento facente funzioni chiese una relazione, la quale, peraltro, era già in corso di redazione (per ovvie esigenze di attività burocratica). Ne fu in pratica accelerata la redazione; questa relazione riguardava i fatti e lo svolgimento del servizio, e grosso modo è quanto ho illustrato qui oggi. La relazione fu prodotta dal dottor Sabella e consegnata al ministro della giustizia. Nonostante ciò, nella stessa data, vennero richiesti all'autorità giudiziaria di Genova l'autorizzazione e il nulla osta a poter svolgere l'attività ispettiva, e il dottor Tinebra da poco in carica (insediato il 2 agosto), come primo atto, ha firmato la composizione della commissione d'inchiesta che sta operando e che consegnerà i suoi lavori - mi auguro - al più presto.
MARCO BOATO. Ci può dire com'è composta questa commissione?
PRESIDENTE. Si è stabilito di rinviare le domande al termine dello svolgimento della relazione introduttiva.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Non vi sono problemi, signor
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presidente, ho tutto appuntato qui. Voglio aggiungere che, per l'attività che il personale della polizia penitenziaria ha svolto a Genova, risultano qui allegati, e li consegnerò, gli elogi da parte dell'autorità giudiziaria, alla quale abbiamo fornito un contributo nell'assistenza durante lo svolgimento dell'attività giudiziaria e anche per il trasporto dei fascicoli - e degli stessi magistrati - presso le sedi penitenziarie da parte dell'Arma dei carabinieri.
Penso di poter dire con sufficiente tranquillità e certezza che vi sono stati fatti diffusi di violenze e, soprattutto, che vi sono stati pestaggi sistematici e quant'altro; possono esserci stati sicuramente degli eccessi, d'altra parte se questi eccessi vi sono stati, saranno accertati dall'autorità giudiziaria che sta già svolgendo il suo lavoro e da questa commissione d'inchiesta che è stata insediata all'amministrazione; saranno molto probabilmente posizioni individuali che dovranno essere perseguite ove effettivamente riscontrate, ovviamente in sede sia penale sia disciplinare. Grazie, avrei concluso, signor presidente.
PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Di Somma per la sua relazione. Hanno chiesto di intervenire, nell'ordine, i colleghi Mascia, Soda, Boato, Falcier, Petrini, Ascierto e Sinisi. Se sarà possibile limitare a questi gli interventi dei colleghi, procederemo con le stesse modalità di questa mattina.
GRAZIELLA MASCIA. Signor presidente, vorrei chiedere al vicedirettore Di Somma: avete partecipato alle riunioni del comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza, nelle sue diverse fasi, che avevano all'ordine del giorno la gestione del G8, avevate dei rappresentanti anche nella cosiddetta sala operativa interforze e, in caso di risposta affermativa, quale era il vostro ruolo? Posto che lei ci ha parlato del piano per la
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gestione degli arrestati, menzionato anche nella relazione, e che avete deciso di istituire due succursali per ospitare i fermati in attesa della traduzione in carcere, vorrei chiederle intanto sulla base di quali parametri e di quale documentazione abbiate valutato che sarebbero potute passare 300 o 500 persone. Infatti, le succursali - come lei oggi ci ha confermato - sono state realizzate perché si pensava ad un numero eccessivo di arrestati, che sarebbe stato impossibile tradurre immediatamente in carcere: questa mi sembra la sostanza del ragionamento.
Vorrei sapere sulla base di quali documentazioni abbiate effettuato tali previsioni, in quale luogo siano state reperite e se esse siano state - come immagino - il frutto di una elaborazione comune con altri livelli istituzionali; altrimenti, non comprendo come sia possibile che si organizzino due succursali per ospitare 300 o 500 persone in attesa della traduzione in carcere e poi si costringano le stesse ad attendere delle ore prima di essere consegnate alla polizia penitenziaria. Lei stesso ci ha appena confermato che le persone sono rimaste in attesa anche per alcune ore prima di passare sostanzialmente nelle vostre mani e credo che questo sia un dato che è importante conoscere.
FILIPPO ASCIERTO. Le caserme erano circondate!
GRAZIELLA MASCIA. Onorevole Ascierto, era forse sul posto per constatare che la caserma era circondata?
PRESIDENTE. Mi scusi, evitiamo le interruzioni, anche per rispetto al nostro ospite.
GRAZIELLA MASCIA. Vicedirettore Di Somma, lei ci ha anche detto che avete deciso di utilizzare 171 membri del
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GOM. Siccome mi sembra che si tratti di un reparto utilizzato in casi molto particolari (nei casi previsti dall'articolo 41- bis dell'ordinamento penitenziario o nei casi di rivolta delle carceri), vorrei sapere con quali criteri abbiate operato questa scelta e perché. Siccome vi sono testimonianze e comunque dichiarazioni che affermano che tali soggetti si trovavano all'interno della caserma, mentre lei ci ha detto che vi erano disposizioni per cui dovevano rimanere fuori, in base alle relazioni che le sono state fornite ha verificato o possiede elementi per confermare che siano rimasti fuori?
Inoltre, siccome lei ci dice che è in corso una commissione ispettiva sulla base di ciò che è stato scritto su la Repubblica, le chiedo se i responsabili dei due siti che lei ha nominato, e che risultano agli atti, non dovessero svolgere ogni giorno una relazione su ciò che era avvenuto, posto che avevano la responsabilità complessiva di quei luoghi.
Dalla prima relazione che vi è stata consegnata, redatta in attesa che la commissione ispettiva svolgesse il proprio compito (mi pare di aver letto che i lavori dovrebbero concludersi entro il 15 settembre), risultano notizie rispetto alle violenze che sarebbero state perpetrate in queste caserme dalla polizia penitenziaria?
Inoltre, vorrei chiederle molto velocemente ulteriori particolari. Negli atti che ci avete consegnato si menzionano soltanto cinque casi di persone gravemente ferite che non sono potute passare attraverso Bolzaneto e San Giuliano, ma sono state immediatamente ricoverate nell'ospedale San Martino perché in gravi condizioni. Vorrei sapere se ha notizie di queste persone, dove si trovano ora, se sono state poi tradotte in carcere e qual è stato il loro iter.
Lei ha anche dichiarato che i fermati venivano sottoposti a due visite mediche. Le chiedo una conferma, perché dagli atti
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avevo compreso che la prima visita fosse compiuta dalla Polizia di Stato e la seconda dalla polizia penitenziaria; invece lei ci dice che entrambe le visite erano compiute dalla polizia penitenziaria. Siccome anche rispetto a queste prime visite vi sono alcune dichiarazioni apparse sui giornali, secondo le quali molti fermati sarebbero stati sollecitati a firmare referti o dichiarazioni di stato di buona salute, quando magari le loro condizioni non erano tali, vorrei avere qualche rassicurazione in merito. Vorrei, comunque, sapere se abbiate svolto verifiche al riguardo. Posso comprendere il senso delle due visite: evidentemente, se avete sottoposto le persone fermate a due visite, è perché sapevate che sarebbero rimaste delle ore in quel luogo; altrimenti ciò non si spiega.
Le vorrei rivolgere un'ulteriore domanda. Lei ci ha detto che vi sono stati 20 ricoverati in ospedale: quando lei parla di ricoverati, si riferisce a persone rimaste in ospedale oltre un certo numero di giorni? Infatti, i ricoverati in ospedale sono stati molti di più: io stessa ho visitato quelli provenienti dalla scuola Diaz e quella stessa notte erano 33, quindi un numero superiore a 20. Vorrei capire a cosa si riferisca questo dato: forse a persone che poi sono state condotte in carcere, o che forse non ci sono mai arrivate perché i fermi non sono stati convalidati? Tuttavia 20 persone mi sembrano effettivamente poche, pertanto vorrei comprendere meglio questo dato.
Infine, vorrei chiederle quando abbiate preso in consegna gli austriaci arrestati nel pomeriggio del 22 luglio, mi sembra, sulla strada per Recco.
ANTONIO SODA. Signor presidente, la mia prima domanda riguarda una nota che ci è stata consegnata ieri, concernente una lettera inviata ai provveditori regionali dell'amministrazione penitenziaria di Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d'Aosta a firma del dirigente coordinatore Alfonso Sabella, che
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attiene alla sicurezza dei rapporti fra autorità giudiziaria e istituti penitenziari.
Nell'ultimo inciso dell'ultimo periodo della relazione, si fa riferimento all'intensificazione delle cautele determinatasi dalle necessità insorte a seguito «di un inquietante episodio verificatosi in data odierna». Ci può dire la natura, l'essenza ed il contenuto di questo inquietante episodio?
Accanto a questa domanda specifica, le chiedo, a seguito dell'esperienza complessiva maturata in questa organizzazione, ossia 279 persone fermate di cui 247 già scarcerate (faccio presente che nella relazione dell'ispettore consegnataci dal capo della polizia si fa riferimento a 93 arresti compiuti fra tutte le persone che si trovavano nella scuola Pertini, ex Diaz, 81 dei quali immediatamente non convalidati), se vi siano state soltanto 21 traduzioni, se ho ben capito. Lei, infatti, ha detto poco fa che vi sono state 6 traduzioni per gli immatricolati a Forte San Giuliano e 15 traduzioni da Bolzaneto, tenendo conto che la maggior parte degli immatricolati, cioè dei fermati e degli arrestati, proviene dalla polizia e tenendo conto di quel blocco di 93 persone che, secondo l'autorità giudiziaria, per il 99 per cento non dovevano essere arrestate.
L'amministrazione penitenziaria, in sede tecnica ma anche in sede politica, può e deve fare una riflessione per aver organizzato una struttura che appare mastodontica e che poi ha subìto rischi di pericolo come quelli che si sono verificati per Forte San Giuliano.
Tutta una struttura, sostanzialmente, non ha funzionato poiché, non sembra ci siano stati arresti che abbiano riguardato persone violente; si sono avute 21 traduzioni su oltre 290.
In sostanza, a mio parere, avete creato - su questo, oltre a sottolineare secondo me la responsabilità politica del ministro, chiedo una riflessione da parte dell'amministrazione
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penitenziaria - un meccanismo farraginoso - non lo dico io, ma l'ispettore della Polizia di Stato - che allontana il fermato o l'arrestato dalla polizia giudiziaria, complica il percorso della convalida, consente - come poi è accaduto - che il fermato e l'arrestato restino per 17, 18, 22 ore nelle mani della polizia prima di essere messi a disposizione dell'autorità giudiziaria e di essere consegnati alla polizia penitenziaria, naturalmente usando l'accortezza di rispettare il termine di 24 ore previste dal codice.
Con due decreti ministeriali avete creato una struttura quando, secondo me, la linea da seguire - questa è la riflessione che le chiedo di fare - sarebbe stata quella di verificare quali fossero lo spirito, la lettera ed i principi di civiltà che presiedono ai rapporti fra lo Stato, l'amministrazione penitenziaria ed il cittadino arrestato. Questa linea da seguire è descritta dal codice di procedura penale: il fermato e l'arrestato debbono essere messi immediatamente a disposizione dell'autorità giudiziaria; devono vedersi riconosciuta la possibilità di nominare un difensore e di avvertire i familiari. Voi avete creato una struttura che - come è stato riconosciuto anche dall'amministrazione stessa - non ha funzionato, ha conseguito risultati miserrimi, oltretutto creando innumerevoli problemi.
A chi è venuta l'idea di istituire ex novo due provvisori siti penitenziari? A chi quella di istituire questi siti penitenziari presso un posto di polizia ed una caserma dei carabinieri? Perché la vostra amministrazione non si è preoccupata di assicurare almeno una cella ai fermati ed agli arrestati. Lei stesso è venuto a dirmi che, a volte, in un'intera caserma di carabinieri a Forte San Giuliano, i fermati e gli arrestati debbono sistemarsi nei corridoi, quando il nostro codice di procedura penale - a questo dovrebbero essere sensibili anche
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i miei colleghi del Polo - e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo - relativamente al trattamento dei fermati e alle garanzie degli arrestati - prevedono che tutto deve essere funzionale alla verifica della legittimità dell'arresto.
GIAN FRANCO ANEDDA. È una domanda o una requisitoria?
ANTONIO SODA. Caro Anedda, la mia non è una requisitoria! La mia domanda è precisa. Chi ha avuto questa idea? Chi si è posto questa...
GIAN FRANCO ANEDDA. Ripeto: è una domanda o una requisitoria?
ANTONIO SODA. ...ognuno interviene come meglio ritiene. In seguito sarà lei, Anedda, a fare la sua requisitoria; non deve andarla a fare da un'altra parte.
Mi chiedo se vi sia stata una responsabilità politica del ministro; in seguito chiederemo al ministro Castelli che concezione abbia dei diritti del cittadino. In questa logica, dove trovano fondamento questi due decreti ministeriali?
MARCO BOATO. Ringrazio il dottor Di Somma per la sua relazione. Mi sembra di aver capito che lei, dal dicembre dell'anno scorso, ricopre la funzione di vice direttore del DAP. Lei è stato mandato qui dal dottor Tinebra, quindi ha piena legittimità istituzionale e la ringraziamo della sua disponibilità. In ogni caso, lei ha premesso che non ha avuto conoscenza diretta dei fatti, per cui - non lo dico a lei, ma al presidente - forse sarà il caso di valutare, al fine di arricchire questa audizione, le dichiarazioni di coloro che hanno avuto esperienza diretta.
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Non credo siano in discussione le difficoltà ed i problemi che ci sono stati in quei giorni. È evidente che sono stati giorni di emergenza, che hanno presentato problemi molto seri. Il fatto che, in una situazione di emergenza, un contingente della polizia penitenziaria abbia dovuto partecipare alla difesa della struttura di Marassi e del Forte San Giuliano risulta piuttosto significativo. Da questo punto di vista nulla da dire per ciò che concerne gli elogi espressi dal colonnello Tesser e dall'autorità giudiziaria nei riguardi della polizia penitenziaria, in riferimento all'aiuto che la stessa ha dato ai magistrati per tutto quello che riguardava l'assistenza agli stessi e il trasporto di documenti.
Tutto questo l'ho voluto ripetere per confermare pubblicamente quello che lei ha detto, nella piena consapevolezza della particolare situazione verificatasi. È bene che lei ci abbia illustrato questi aspetti anche se, un'indagine come quella che noi stiamo svolgendo, è chiaro che non accentra la sua attenzione su di essi, pur essendo utile conoscerli, poiché rappresentano il contesto nell'ambito del quale un servizio è stato svolto.
Al di là del tono usato dal collega Soda, che non piaceva all'onorevole Anedda - ma ognuno parla come vuole: lei può capirlo, noi ormai siamo qui da molte ore -, credo che molte delle sue richieste siano da considerarsi pienamente condivisibili ed io le faccio mie. Riferendomi proprio a queste richieste, la prego di darci al più presto una risposta, scelga lei il momento più adatto.
Essendo vicedirigente, in qualche modo può avere titolo a rispondere ad una mia domanda; penso infatti che il dottor Tinebra l'abbia mandata qui proprio per questo. Vorrei dire in modo molto garbato che, dal punto di vista delle procedure, in me solleva qualche dubbio, non il ruolo di coordinatore
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svolto a Genova dal dottor Alfonso Sabella - su questo nulla quaestio -, ma il fatto che nel momento in cui emerge l'ipotesi: sono convinto che non debbano essere mai fatti processi sommari, tantomeno in una Commissione di indagine che, tra l'altro, non ha questi compiti - allo stato è solo un'ipotesi - di comportamenti non corretti (a partire dalla segnalazione del 26 luglio fatta dal quotidiano la Repubblica, anche se credo che in altri quotidiani siano poi emerse altre lettere e segnalazioni), di reati, violazioni di legge o disciplinari, che comunque sono gravi dal punto di vista dell'ordinamento interno del corpo, suscita in me qualche perplessità - lo ripeto - che il compito di redigere le due relazioni su questi fatti venga attribuito allo stesso soggetto che si è visto riconosciuto il mandato di coordinare le attività. Francamente questo mi lascia perplesso. Le due relazioni sono ancora formalmente coperte da un'inspiegabile riservatezza: si tratta di documenti autoelogiativi dell'attività svolta che sarebbe meglio rendere pubblici. A questo proposito vorrei chiederle se può segnalare al dottor Tinebra l'opportunità di togliere questa riservatezza: in Commissione abbiamo a disposizione documenti appartenenti al prefetto e ad altri corpi dello Stato ai quali la riservatezza è stata tolta e che raccontano ben altri aspetti relativi a materie molto più delicate.
Suscita in me perplessità che la stessa persona che, legittimamente e correttamente, ha avuto l'incarico di svolgere l'attività di coordinamento, in un momento così difficile e delicato e nel modo che lei ci ha illustrato, venga dopo incaricata di svolgere la relazione, sia pure nell'immediatezza dei fatti, su dubbi che emergono, su eventuali violazioni di legge o di carattere disciplinare. Prendo atto con soddisfazione, da questo punto di vista, delle sue parole. Lei ha detto, infatti, che il dottor Tinebra - un magistrato che conosco e che stimo
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molto -, appena insediato, ha istituito formalmente una commissione d'inchiesta. Ciò mi pare proceduralmente più corretto. Vorrei chiederle - glielo avevo già chiesto interrompendola, ma il presidente mi ha bacchettato - se può dirci come è composta questa commissione d'inchiesta.
Vorrei fare riferimento ad altri aspetti che già il collega Soda ha esaminato. Ho letto attentamente le relazioni, che vanno nel dettaglio. Manca la piantina: si dice che è allegata, ma io non l'ho vista. La pregherei, se potesse, di farcela avere per capire come era organizzata la situazione. Vorrei capire, per quello che lei sa, dottor Di Somma, come sia stato il rapporto fra l'attività di polizia penitenziaria e l'attività della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri, rispettivamente nell'ex caserma dell'esercito, contenuta all'interno della caserma del reparto mobile di Genova, Bolzaneto, ed all'interno della caserma di Forte San Giuliano. In questi casi, sono emerse ipotesi di scorrettezze che non possono essere sommariamente attribuite a chiunque. Ci sono ipotesi che riguardano eventuali comportamenti da attribuirsi al personale della Polizia di Stato e, rispettivamente, eventualmente - su questo secondo «eventualmente» non ho informazioni: è stata diffusa una notizia, poi smentita - a quello dell'Arma dei carabinieri e al personale della polizia penitenziaria, sia il personale ordinario - chiamiamolo così - sia quello appartenente al gruppo operativo mobile. Le chiederei informazioni su questo rapporto. Forse hanno anche loro la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Gli agenti sono ufficiali di polizia giudiziaria.
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MARCO BOATO. Chiedo quindi, se gli agenti della polizia penitenziaria, che hanno la qualifica giuridica anche di ufficiali di polizia giudiziaria, per quello che lei sa - ma forse la commissione di inchiesta qualcosa potrà far emergere -, abbiano avuto conoscenza di comportamenti illeciti o illegali che siano stati messi in atto a danno degli arrestati, i quali in ipotesi, hanno commesso reati e per quello vengono arrestati.
Lei ci ha ricordato i dati: di 279 arrestati, 247, fino a ieri, ed oggi qualche altro in più, sono già stati scarcerati; ma voi non potete giudicare su quello che è un arresto, è ovvio. Si ipotizza che, se sono arrestati, abbiano compiuto reati. Ma nel momento in cui sono arrestati, devono essere trattati con tutte le garanzie degne di uno Stato di diritto, che si debbono applicare sia ai grandi personaggi del nostro paese sia all'ultimo disgraziato. Le garanzie o valgono per tutti o non valgono per nessuno, in uno Stato di diritto. Questo sembra che in quel caso non sia avvenuto. Prima ancora di parlare di eventuali lesioni, sembra che non sia avvenuto sotto il profilo delle condizioni di arresto, sia pure di provvisoria detenzione.
Io vorrei che lei ci descrivesse come fossero queste stanze: per esempio, se ho letto bene, c'erano stanze totalmente nude. A parte che non capisco perché debbano essere totalmente nude, quando le persone vengono arrestate. Le persone arrestate, donne e uomini, sarebbero - uso il condizionale su tutto -, state tenute per molte ore, all'inizio per due, tre, quattro ore, poi, con la progressione degli avvenimenti, per dodici, tredici, quindici, sedici, diciassette, diciotto ore in piedi, con le mani alzate, con le gambe divaricate, girate verso il muro, bastonate quando osavano o sedersi o girarsi per vedere cosa stesse succedendo. Questo si può capire se dura per dieci minuti, ma non quando dura quindici, sedici ore. Questo è avvenuto in ipotesi con la Polizia di Stato? È avvenuto anche
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con la polizia penitenziaria? Vi sono stati segnalati comportamenti di questo genere? Ne sapete qualcosa? Queste sono le domande che vorrei farle. Sono domande legate alle stanze di detenzione, alle condizioni di detenzione in stato di arresto prima della traduzione ed ai tempi che ho appena citato.
Vorrei, inoltre, che ci desse dettagli sui ricoverati, se è in grado di farlo. Ci ha fornito un numero, ma ha aggiunto un avverbio che avrei evitato; ha detto che solo 20 unità sono finite in ospedale. Questo «solo» io lo avrei evitato. Era un lapsus: 20 persone sono andate in ospedale. Vorrei sapere se lei sia in grado di fornirci dettagli, se non adesso, nelle prossime ore. Non mi riferisco al nome ed al cognome, che a me interessano poco: vorrei sapere in quali condizioni si trovassero le persone che hanno dovuto essere trasportate in ospedale.
Le rivolgo la penultima domanda. Ovviamente, è questione delicata che un vicedirettore del DAP, su domanda, parli del ministro della giustizia; però, lei qui è venuto a riferire su quello che è avvenuto, per incarico del direttore del DAP. Per dichiarazione esplicita, nel corso di una conferenza stampa, il ministro della giustizia, la notte dell'ultimo giorno, alle due di notte o qualcosa del genere, è andato nella caserma di Bolzaneto e - credo - anche nella caserma di San Giuliano.
PRESIDENTE. Il dottor Di Somma è in rappresentanza del DAP.
MARCO BOATO. Signor presidente, il vicedirettore del DAP viene a riferire su ciò che è avvenuto dentro i penitenziari, stabiliti presso le caserme di Bolzaneto e di Forte San Giuliano. Ho anche premesso che si tratta di una domanda delicata, non sono nato ieri. Quindi, io chiedo al vicedirettore del DAP, visto che egli è informato di molte cose, se sia a
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conoscenza delle circostanze in cui è avvenuta tale visita, se la visita sia stata richiesta dal DAP stesso o se sia stata un'autonoma iniziativa del ministro della giustizia. Ho letto alcune dichiarazioni del ministro della giustizia, il quale dice ai giornali testualmente: «È tutto normale, sono entrato nelle celle ed ho visto la gente in piedi, con le gambe divaricate e le mani alzate, guardare verso il muro ed una donna staccata, perché avevano paura che i maschi la aggredissero». Un ministro della giustizia dichiara questo ai giornali, per dire che è tutto normale, dando questa fotografia di ciò che stava succedendo lì dentro. Io non le chiedo di darmi un giudizio sul suo ministro; sarei stupido se lo facessi. Le chiedo di conoscere la dinamica della visita. Le chiedo se tale visita sia stata richiesta o se sia stata un'autonoma iniziativa ed in quali circostanze sia avvenuta. Mi pare che sia il primo caso, a mio conoscenza, di un ministro della giustizia che interviene nel corso di operazioni di arresto. Io non ne ho mai conosciuto altro, in trenta, quarant'anni di vita politica. Come mai questo è avvenuto?
Lei ha detto concludendo: «Escludo fatti sistematici di violenza; possono esserci stati eccessi, sono posizioni individuali che potranno essere perseguite penalmente». La responsabilità penale è sempre individuale; quindi, io convengo con lei che le responsabilità andranno individualmente accertate. Vorrei sapere se voi, a questo riguardo, ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, abbiate già acquisito qualche elemento, avendo lei esposto questa conclusione di carattere - diciamo - metodologico.
LUCIANO FALCIER. Signor presidente, mi associo al ringraziamento nei confronti del dottor Di Somma, che qui rappresenta il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Lo ringrazio per la sua relazione e per le notizie che ci
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ha fornito. Dottor Di Somma, credo vi sia la necessità che quanto lei ha esposto - diceva all'inizio, che si tratta di una scaletta, di appunti - possa essere rappresentato in una relazione che vorrà farci avere tramite la presidenza. Credo che ciò ci sarà maggiormente utile.
Mi pare però di aver già compreso che il personale dell'amministrazione penitenziaria ed i suoi responsabili, più che dell'ordine pubblico - non poteva essere che così -, abbiano avuto la responsabilità e la gestione di locali per eventuali arresti e di locali per esigenze sanitarie, di infermeria o di quant'altro fosse necessario.
Sulla base di quello che credo di aver capito e di aver sentito, vorrei fare alcune considerazioni o, meglio, delle brevissime domande. La prima: da quando è partita l'individuazione (me ne dà motivo anche l'intervento di qualche collega che mi ha preceduto) di quel tipo di organizzazione, di quei locali e di quelle esigenze? Quando è stata individuata? Non voglio conoscere tanto i dettagli e la definizione dei particolari, ma vorrei sapere da quando l'amministrazione penitenziaria, dopo che era venuta a conoscenza - naturalmente come tutti - che si svolgeva il G8 a Genova, abbia pensato, attuato e dato adempimento a quel tipo di organizzazione. Ancora, vorrei sapere se da parte vostra, da parte del personale dell'amministrazione, vi siano state o meno difficoltà a tenersi in contatto con la centrale operativa, che sovrintendeva all'ordine pubblico e all'organizzazione complessiva di supporto al G8 o, meglio, se i contatti con le autorità locali di pubblica sicurezza siano stati fluidi o difficoltosi e se i collegamenti siano stati funzionali.
Vorrei sapere se il personale dell'amministrazione penitenziaria - di questo si tratta - abbia avuto in consegna locali (mi pare di sì) di proprietà di altri enti o di altre amministrazioni,
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se essa sia avvenuta tramite verbali e assunzioni di responsabilità da parte di tale personale. Dico questo per passare alla seconda considerazione. Vorrei sapere se questi locali siano stati danneggiati, e poi riconsegnati all'amministrazione proprietaria, perché risulterebbe che con altri consegnatari ciò non sia avvenuto. Sarebbe interessante, almeno per me, sapere se invece l'amministrazione penitenziaria abbia potuto redigere un inventario degli eventuali danni e riconsegnare alla proprietà gli stessi locali.
L'altra domanda - in quanto la nostra indagine rischierebbe di essere parziale se si concentrasse solo su eventuali aggressioni o ferite da parte dei manifestanti più o meno facinorosi - è volta a sapere se il personale dell'amministrazione penitenziaria abbia riportato ferite e subito aggressioni; in pratica se vi siano state violenze e quindi bisogno di interventi sanitari. Mi chiedo in pratica se tra il personale della polizia penitenziaria - come abbondantemente si sa per i carabinieri e per gli addetti al corpo della Polizia di Stato - qualcuno abbia riportato danni fisici.
Infine, le chiedo se può farci avere - più che notizie - la relazione che peraltro risulta essere già stata richiesta, dopo che lei ci ha comunicato l'articolo apparso su la Repubblicae da cui è subito scaturita l'esigenza di effettuare accertamenti precisi su quanto quell'articolo e gli organi di stampa riferivano. Vorrei sapere se sia possibile disporre dei risultati o della relazione che è stata acquisita dall'amministrazione su tutto questo.
Infine, vorrei sapere se a lei risulti che la magistratura ha avviato nei riguardi del personale della sua amministrazione iniziative, accertamenti o quant'altro nell'ambito di sua competenza.
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PIERLUIGI PETRINI. Le mie domande verteranno sull'aspetto sanitario e sulle relazioni che i dirigenti della pubblica sicurezza hanno svolto su incarico del capo della polizia.
Il dottor Montanaro nella sua relazione, conformemente a quanto lei ha detto, ha specificato che la persona arrestata o fermata veniva sottoposta ad una sommaria visita da parte del medico della polizia penitenziaria e, poi, una volta che la persona veniva consegnata alla polizia penitenziaria, si provvedeva ad eseguire una nuova visita medica - si ritiene - più approfondita. Ritengo logico - e le sue parole lo lasciavano presumere - che di queste visite mediche esista una documentazione costituita da una cartella o da una scheda clinica. Però, il dottor Montanaro nel valutare la situazione relativa a 13 persone che avrebbero rilasciato dichiarazioni relative a presunti maltrattamenti subiti, rileva che nessuna di queste persone, che erano state portate nella caserma Bolzaneto, ha un referto medico. Invero, una delle 13 ha un referto medico, che risulta però redatto alle ore 3,30 del 22 luglio, cioè domenica mattina dall'ospedale San Martino di Genova, dove evidentemente era stata trasferita. Il referto riporta una prognosi peraltro benevola di dieci giorni. Le altre invece non hanno - almeno non risulta nella relazione fornitaci - nessun referto medico, nonostante quattro di queste 12 persone abbiano riportato traumi cranio-facciali rilevabili direttamente dalle foto segnaletiche.
Dalla relazione del dottor Micalizio invece risulta - sembra peraltro in contraddizione con la precedente, anche se sono casi diversi - che delle 93 persone arrestate o fermate - per meglio dire - nell'immobile scolastico Pertini, 62 (pari al 66
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per cento) sono state refertate con prognosi variabili; essa poi riporta le prognosi, e, in particolare, precisa che il 5 per cento delle 62 persone...
PRESIDENTE. Occorre precisare che il dottor Di Somma, vicedirettore dell'amministrazione penitenziaria, non è a conoscenza delle due relazioni che provengono dal Ministero dell'interno.
PIERLUIGI PETRINI. Esatto. Come dicevo, il 5 per cento - ci riferiamo a tre persone - avrebbe avuto una prognosi riservata. Vorrei sapere, intanto, sulla base di quale patologia verosimilmente traumatica si fondi questa prognosi riservata e quali siano stati i tempi di accertamento e di trasferimento di tali persone presso la struttura ospedaliera. Questo chiarimento vale anche per le prognosi più severe; per esempio, ve ne sono alcune anche di 40 giorni che richiederebbero un maggiore approfondimento.
FILIPPO ASCIERTO. Vorrei fare alcune considerazioni riguardanti il contenuto sia del rapporto degli ispettori del Ministero dell'interno sia di una lettera del procuratore generale della Repubblica di Genova.
Gli ispettori hanno analizzato le varie procedure nel momento in cui le persone sono state fermate e poi tradotte all'interno degli istituti penitenziari.
Intanto, prima di analizzare questo aspetto, voglio aderire personalmente alla lettera del procuratore generale della Repubblica di Genova, il quale scrive che: «Esauritasi la fase dell'emergenza degli adempimenti, complessi e numerosi, che si sono resi necessari in conseguenza degli eventi verificatisi in coincidenza delle manifestazioni del G8, sento il dovere di rivolgere a lei...» - ed è indirizzata al pregiatissimo ispettore
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Lorenzo Pattico, ufficio G8, palazzo di giustizia ed al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - «...e a tutto il personale della polizia penitenziaria che ha lavorato con noi in questi giorni, il mio più vivo ringraziamento per la generosa, proficua collaborazione che ci è stata offerta e che ha reso possibile il corretto e puntuale svolgimento di tutte le operazioni che si sono rese necessarie. La mia personale gratitudine per quello che è stato fatto e per il modo ineccepibile con cui lo si è fatto». Quindi, un procuratore generale della Repubblica, riconosce che si è operato in modo preciso.
Molti miei colleghi, forse, non conoscendo le procedure che vengono seguite dal momento in cui viene fermata una persona a quando viene condotta in carcere né degli adempimenti burocratici - ad esempio, quelli dell'ufficio matricola -, pensano che tutto sia come alla reception dell'hotel Hilton dove è assicurata la massima assistenza. Nelle nostre strutture, invece, deve essere rispettata una serie di adempimenti burocratici. Ciò premesso le chiedo due cose: in primo luogo, se è corretta qualora la conosca, la procedura, qui trascritta, degli ispettori del Ministero dell'interno.
EMILIO DI SOMMA, Vice direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. No, non la conosco.
FILIPPO ASCIERTO. Allora gliela leggo, sono soltanto dieci righe: «Il personale operante presentava il fermato all'ufficio mobile più vicino e competente per zona...» - erano stati allestiti complessivamente tre uffici mobili con diversa competenza territoriale - «... e consegnava anche un modulo prestampato sul quale annotava le ragioni dell'arresto, del fermo o dell'accompagnamento. Un equipaggio automontato provvedeva poi a trasferire la persona arrestata o fermata all'ufficio trattazioni della Polizia di Stato, allestito presso la
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sede del IV reparto mobile...» - per i carabinieri era la caserma di San Giuliano, evidentemente - «... dove all'ingresso della palazzina veniva sommariamente visitata dal medico della polizia penitenziaria, sottoposta a perquisizione personale e custodia in una delle celle a disposizione della Polizia di Stato...» - abbiamo detto che per i carabinieri era diverso - «...avviata al fotosegnalamento e quindi nuovamente rinchiusa nella cella di provenienza, in attesa del completamento degli atti di polizia giudiziaria (verbale di arresto, biglietto di carcerazione ed altro), consegnata alla polizia penitenziaria che provvedeva, a sua volta, ad eseguire una nuova visita medica e perquisizione personale, rinchiudere l'arrestato o il fermato in una delle celle riservate alla polizia penitenziaria, trasferire gli arrestati per gruppi alle carceri designate, Alessandria e Voghera.». Questo è ciò che dicono gli ispettori: in questa procedura lei riconosce il procedimento seguito?
Per quanto concerne la seconda questione, vorrei sapere tra il fotosegnalamento, l'identificazione e la perquisizione, mediamente quanto tempo occorra per singole persone fermate. Anche questo dato può servire a dimostrare che non c'è stata una coercizione, una violenza particolare nei confronti del fermato, ma che i tempi, con un numero elevato di persone fermate, sicuramente si sono allungati.
La cosa importantissima è sapere se i medici che effettuavano le visite fossero, ad esempio, agenti di polizia penitenziaria o professionisti che non hanno nulla a che vedere con la polizia penitenziaria, nel senso che non sono inquadrati all'interno della stessa. Inoltre, è vero che sono in corso procedimenti per calunnia a seguito di denunce presentate da
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esponenti della polizia penitenziaria nei confronti di persone che, a loro volta, hanno presentato denunce per aver subito violenza da parte di questi ultimi?
GIANNICOLA SINISI. Anch'io ringrazio il dottor Di Somma per la sua relazione sulla quale ho tre questioni brevi da porre.
La prima. Sappiamo che, ad un certo punto, presso la caserma di Bolzaneto vengono abolite cinque delle sette postazioni che dovevano essere utilizzate per il trattamento dei detenuti. Lo stesso ispettore del Ministero dell'interno ci fa capire che tale soppressione determina un tempo di trattamento che passa da 2 ore fino a 15-17 ore. Avete ricevuto segnalazioni, da parte del personale dell'amministrazione penitenziaria, in ordine a inefficienze, ritardi o decisioni non concordate sul punto, visto che la pianificazione era stata appunto concordata fra le amministrazioni interessate?
La seconda: ha notizia se presso la caserma di Bolzaneto - o anche in un'altra caserma - vi siano stati momenti di promiscuità fra persone fermate o arrestate e personale smontante, immagino stanchissimo e molto provato, a fine turno di servizio?
La terza. Sappiamo che la caserma di Bolzaneto era destinata a ricevere gli arrestati e i fermati dalla Polizia di Stato, dalla Guardia di finanza e dalla Polizia municipale e che, forse, la caserma di San Giuliano era destinata a ricevere gli arrestati e i fermati dall'Arma dei carabinieri. Sappiamo anche che, ad un certo punto, il dispositivo è stato in parte modificato, perché quando vi è stata la tragica vicenda del giovane Giuliani, i servizi di vigilanza esterna alla caserma di Bolzaneto sono stati affidati all'Arma dei carabinieri o, in parte, alla stessa. A un certo punto - denuncia lo stesso ispettore, attraverso le parole di un funzionario - vi è stata una grande confusione alla caserma di Bolzaneto tra personale
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dell'Arma dei carabinieri e della Polizia di Stato, che si avvicendava al suo interno con funzioni non meglio specificate. La questione è questa: l'Arma dei carabinieri, oltre ai compiti di vigilanza, ha concorso con la polizia penitenziaria nel servizio di traduzione o li avete realizzati esclusivamente voi come polizia penitenziaria?
PRESIDENTE. Do nuovamente la parola all'onorevole Mascia che aveva omesso di porre una domanda. La invito però ad essere veramente breve.
GRAZIELLA MASCIA. Vorrei solo chiedere al dottor Di Somma se tra quello in servizio vi fosse anche personale femminile.
PRESIDENTE. Dottor Di Somma, è in grado di rispondere, in tutto o in parte, alle domande che le sono state rivolte?
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Ad una parte delle domande sì.
L'amministrazione penitenziaria ha preso sicuramente parte ad alcuni comitati nazionali per l'ordine e la sicurezza pubblica e vi partecipava nella persona dell'allora capo del dipartimento facente funzioni, dottor Paolo Mancuso.
Devo ritenere che la valutazione sul numero delle persone che, in ipotesi, potevano essere tratte in arresto nel corso delle manifestazioni o a seguito delle stesse sia frutto di valutazioni congiunte di notizie in possesso della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e dei servizi che sono normalmente componenti del comitato nazionale.
Ovviamente, non sono in grado di dire se siano stati utilizzati dei parametri oggettivi; non lo so perché non ero presente e quindi non sono in grado di dirlo. Probabilmente,
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una stima sarà stata fatta sulla base di conoscenze. Di solito, in queste circostanze, per evitare di trovarsi poi in grosse difficoltà, forse ci si mantiene anche un po' larghi e si adotta qualche cautela in più.
Come ho detto in apertura del mio intervento, nel corso di quei lavori, dei lavori del comitato nazionale, è stato stabilito quale dovesse essere il compito dell'amministrazione penitenziaria; questo lo so per certo e perché risulta dai documenti che ho avuto modo di esaminare e per le cose che ho sentito anche partecipando ad alcune riunioni interne all'amministrazione.
Che le unità del GOM fossero fuori dalle caserme a me risulta da documenti che sono qui allegati e che spero di trovare abbastanza rapidamente; si dovrebbe trattare dell'allegato 11; ecco, per esempio, da questa relazione prodotta dal capitano Migliaccio, consegnata al generale Mattiello, più volte è ripetuto che era stata data come indicazione, come spiegazione al personale, da parte del responsabile del gruppo, che il lavoro che si sarebbe dovuto svolgere da parte del GOM consisteva nel fornire assistenza alle traduzioni (l'indicazione era stata data nel corso delle riunioni preparatorie tenute dai responsabili dei gruppi per spiegare quali fossero, in concreto, i compiti che ciascuno dei gruppi avrebbe dovuto svolgere); inoltre, da altri passaggi emerge con chiarezza che «nell'occasione comunque avevo modo di constatare che il personale appartenente al gruppo era in attesa all'esterno dell'edificio»; quindi, il capitano Migliaccio, responsabile per le traduzioni in uno dei siti, essendo presente sul posto, ha avuto modo, e ne ha fatto oggetto di una sua relazione, di constatare che il personale appartenente al gruppo era in attesa all'esterno dell'edificio; e lo ripete ancora: «le operazioni relative al G8 a Forte San Giuliano terminarono il 22, nella mattinata della
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domenica e quindi, dopo aver disposto circa le operazioni relative al rientro di uomini e mezzi, mi recai su Bolzaneto e presso la casa circondariale di Ponte Decimo. Posso assicurare alla signoria vostra che, da quella data, e così via, le squadre impiegate continuavano a stazionare all'esterno dell'edificio utilizzato per le operazioni in questione».
Questo è quanto risulta dalle relazioni: non solo da quella cui ho appena fatto riferimento, ma anche da quella prodotta dall'ispettore Diglio, sempre indirizzata al dirigente responsabile del gruppo operativo mobile: «in tali giorni il personale tutto impiegato negli orari di turnazione è stato sempre prontamente disponibile in loco per eventuale supporto alle traduzioni sostando nel piazzale antistante la caserma ove, peraltro, erano parcheggiati gli automezzi oppure nei locali adiacenti lo spaccio all'uopo a noi destinato»; lo spaccio è un locale che è stato individuato lontano da questo braccio in cui erano collocate le varie stanze date alla Polizia di Stato ed a noi.
Questi sono i fatti che risultano dalle relazioni che ci sono state consegnate, prodotte da personale che lavorava in loco. Quindi, c'è fondato motivo di ritenere che il personale stesse all'esterno, come peraltro era normale che fosse, anche perché credo che, proprio fisicamente, non ci si potesse stare in quei luoghi più di tanto (per quello che ho potuto capire da quello schizzo, da quella piantina).
Nella relazione di Sabella del 26 (si tratta dell'allegato 22), chiesta nell'immediatezza delle notizie apparse sulla stampa, non si fa assolutamente cenno a pestaggi od a comportamenti men che corretti, non ci sono indicazioni che lascino intuire neanche vagamente che ci siano stati comportamenti non
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regolari; non c'è alcun elemento, desumibile dalla relazione medesima, che ci consenta di fare una valutazione di questo tipo.
Per quello che riguarda le persone in ospedale, ripeto che nel corpo della relazione di Sabella viene dato conto di questa primissima visita, che veniva svolta appena gli arrestati scendevano dagli automezzi con i quali erano tra stati trasportati nei due siti penitenziari: quindi, quando il medico penitenziario - che non è un medico della polizia penitenziaria, ma è personale civile o convenzionato con l'amministrazione penitenziaria; si tratta di personale o di ruolo dell'amministrazione penitenziaria o convenzionato con l'amministrazione penitenziaria, ma il corpo della polizia penitenziaria non ha personale sanitario proprio - riscontrava che le condizioni erano tali da richiedere un ricovero mandava l'arrestato direttamente in ospedale; pertanto, tracce immediate, referti immediati redatti sul posto, da quello che si è potuto capire dagli atti, non ve ne sono. Probabilmente questa è la spiegazione per cui alcuni risultano ed altri no.
Questa prima visita, questo triage - così viene chiamato - serviva proprio per capire se la persona fosse in grado di essere trattenuta in una struttura che, in quel momento, era una struttura penitenziaria - era in parte una struttura penitenziaria, perché c'era anche dell'altro, non soltanto una struttura penitenziaria - oppure avesse un immediato bisogno di ricovero in ospedale. Per gli altri, poi, risultava il certificato medico della visita svolta nel momento in cui l'arrestato, epletate tutte le procedure - e quelle seguite sono procedure corrette, rispondenti a quelle che sono a mia conoscenza e sono, comunque, procedure corrette, perché così si fa -, veniva consegnato al personale di polizia penitenziaria per l'immatricolazione e per la vera e propria visita, che è la stessa visita
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che si fa a qualunque detenuto, a qualunque arrestato, nel momento in cui questi mette piede in un istituto penitenziario.
Per quanto riguarda la questione degli austriaci, ho avuto modo di interessarmene un po' di più perché l'ambasciatore d'Austria ha chiesto un incontro al capo di gabinetto del ministro, al quale ho partecipato. Intanto, allo stato, credo siano in stato d'arresto ancora 16 persone per le quali è prevista un'udienza per il giorno 13 davanti al tribunale del riesame: in quella sede si vedrà. A me risulta - e dispongo anche di dati recenti - che, per quanto riguarda l'ingresso in istituto, vi siano state soltanto attestazioni di apprezzamento per il modo in cui i 16 arrestati - se non ricordo male, 10 donne a Voghera e la rimanente parte ad Alessandria, perché in un primo momento erano di più e solo dopo sono diventati 16 - ci sono state solo parole di apprezzamento, dicevo, da parte dell'ambasciatore ed anche di un rappresentante dell'ambasciata, per come questi sono stati ospitati, trattati ed assistiti...
GRAZIELLA MASCIA. Nel carcere sì, ma io intendevo prima, cioè quando sono stati presi in consegna.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Su quello non ho elementi, ma credo che non li abbia nessuno, salvo ulteriore inchiesta, ulteriore accertamento...
GRAZIELLA MASCIA. Ho fatto la stessa domanda, ieri, al comandante dei carabinieri, semplicemente per capire quali sono i passaggi.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Non so quale sia stata la risposta
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del comandante generale dell'Arma dei carabinieri; io non sono in grado di dare una risposta; credo, comunque, che abbiamo seguito la stessa trafila di tutti quanti gli altri.
GRAZIELLA MASCIA. Le chiedo se sia possibile saperlo in seguito.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Posso provare, posso provare.
Inoltre, mi era stato domandato se c'era del personale femminile. La risposta è sì, c'era del personale femminile, da un giornale impropriamente chiamato kapò, mentre a noi risulta una cosa diversa, che le stesse appartenenti al corpo di polizia penitenziaria femminile si siano private dei loro assorbenti igienici per venire incontro alle esigenze delle arrestate e che siano stati forniti generi di conforto a chi si trovava, oggettivamente, in quel momento in una condizione, per usare un eufemismo, di grossa difficoltà. C'era del personale femminile, come era giusto che ci fosse perché, per l'ordinamento penitenziario, alla detenzione, alla custodia delle persone arrestate di sesso femminile deve provvedere personale femminile. Noi abbiamo ancora, diversamente da quanto accade per la Polizia di Stato, due quantità distinte: un ruolo femminile e un ruolo maschile; hanno le stesse progressioni, la stessa normativa e le stesse procedure ma non è un ruolo unico. C'è un ruolo composto da una certa quantità di donne (quasi quattromila) e tutta la rimanente parte è maschile perché negli istituti penitenziari, all'interno delle sezioni femminili, può prestare servizio soltanto personale femminile e a Bolzaneto si è tenuto conto di questa circostanza. Con questo credo di aver risolto.
GRAZIELLA MASCIA. I cinque casi di persone in ospedale?
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EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Per quanto riguarda i cinque casi di persone in ospedale, credo che la situazione sia quella che ho descritto. Immagino si tratti di persone che sono state portate direttamente all'ospedale nel momento in cui sono state fermate o portate nei siti penitenziari, viste all'impronta, se così possiamo dire, dal personale sanitario, non transitate affatto all'interno dei siti penitenziari e mandate direttamente in ospedale. Non risultano quindi agli atti dei nostri documenti.
GABRIELE BOSCETTO. La riserva istruttoria vorrei ...
PRESIDENTE. Abbiate pazienza, sta rispondendo alle domande.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
Per quanto riguarda la previsione di una struttura mastodontica, il ragionamento che è stato fatto è il seguente: poiché la città di Genova deve ospitare un vertice per cui sono state preannunciate manifestazioni di protesta (pacifiche o meno, ma in ogni caso manifestazioni di protesta), non è opportuno che le persone che eventualmente dovessero essere arrestate siano ristrette negli istituti penitenziari di Genova, perché quelle sedi penitenziarie potrebbero divenire oggetto di aggressioni e di attacchi da parte di manifestanti evidentemente non concordi sugli arresti eventualmente effettuati. Pertanto, in sede di comitato nazionale, è stato stabilito che gli arrestati per i fatti connessi al G8 non venissero ospitati in istituti penitenziari della città di Genova ma che, per agevolare le operazioni di arresto e le operazioni conseguenti da parte dell'autorità giudiziaria, si individuasse, comunque, un luogo
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che fosse un carcere ma che fosse soltanto un momento di passaggio per poter poi portare gli arrestati negli istituti penitenziari anche lontani, non lontanissimi, ma sufficientemente lontani dalla città di Genova che era il punto caldo, il punto più delicato per l'ordine pubblico. Quindi, la creazione di due strutture è stata prevista perché, se la previsione era quella di 300, 400 o 500 unità, i tempi di svolgimento, per tutte le procedure, ripeto, corrette, descritte dell'ispettore del ministero dell'interno, si sarebbero ancora più dilatati e allungati e questo avrebbe creato ulteriori problemi. Io non ritengo, ma è ovviamente una mia valutazione, che questo sia stato un modo sbagliato di procedere; ritengo che sia stata una previsione che...
ANTONIO SODA. Ha letto la relazione degli ispettori del Ministero dell'interno?
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. No, non l'ho letta, faccio un ragionamento sulla base dell'esperienza penitenziaria e di tutto quello che accade nel momento in cui si procede all'arresto: c'è bisogno di fare una foto di identificazione, c'è bisogno di procedere alla verbalizzazione dell'arresto, di predisporre un biglietto di arresto e c'è bisogno di consegnare l'arrestato. Praticamente lì c'era un pezzo di questura o un pezzo di commissariato e un pezzo di carcere, tutto qua.
ANTONIO SODA. Per gran parte di essi questa fase è durata di 20 ore.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Questo si è sicuramente verificato, ho avuto modo anch'io di verificarlo. In alcuni casi è accaduto
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e penso che le varie commissioni di inchiesta, quella del Ministero dell'interno, che si è già conclusa, nonché quella nostra, saranno in grado di dare una risposta e, se non saranno in grado, verranno accertate le varie responsabilità. D'altra parte, che ci fossero ragioni di opportunità nel non ospitare negli istituti penitenziari della città di Genova detenuti arrestati è stato dimostrato, purtroppo, dal fatto che l'istituto di Marassi, pur non ospitando ancora neanche uno degli attestati per i fatti conseguenti alle manifestazioni, è stato, tuttavia, oggetto di un attacco, e l'abbiamo visto tutti in televisione.
L'onorevole Boato mi ha rivolto in parte le stesse domande dell'onorevole Soda e le risposte...
ANTONIO SODA. E l'episodio inquietante? Di che si trattava?
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. L'episodio inquietante per la verità ... è la lettera inviata ai direttori. Io non so a cosa ...
ANTONIO SODA. Mi riferisco alla lettera di Sabella.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, sì, la sto cercando.
PRESIDENTE. Credo che il dottor Sabella dovremo sentirlo. Vorrei evitare duplicazioni, ma vorrei anche evitare di soffermarci su circostanze a proposito delle quali credo il dottor Di Somma dovrà dare solo lettura perché, da come fa la ricerca ....
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Le disposizioni di Sabella le conosco bene, ma non conosco l'episodio a cui fa riferimento.
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PRESIDENTE. La lettera a cui fa riferimento la domanda è questa. Possiamo acquisirla agli atti, onorevole Soda.
ANTONIO SODA. Già c'è.
PRESIDENTE. Noi ce l'abbiamo, ma il dottor Di Somma non ne è a conoscenza e non è in condizioni di rispondere.
ANTONIO SODA. Ma ce la manda il suo Ministero!
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Non è tra le nostre carte, non c'è proprio, non la conosco. Mi dispiace ma, si tratta di una domanda a cui non posso dare una risposta perché non è tra gli atti a mia disposizione.
Come mai una commissione ispettiva con la persona di Sabella? Se si riferisce, onorevole Boato, alla prima relazione del 26 luglio, quella non è stata una relazione ispettiva; la relazione era l'esito di una ispezione. Nell'immediatezza dei fatti, nella necessità di riferire oltre che di sapere, come erano andate le cose, perlomeno in un primissimo accertamento e nella necessità di riferire al ministro, si è chiesto al dottor Sabella - che era stato sul posto, ovviamente per come aveva potuto, quindi non sempre presente in tutti i posti - come fossero andate le cose, come fossero state in concreto organizzate e come si fossero concretizzate secondo l'organizzazione che egli aveva dato al servizio. Quindi non si è chiesto a chi poteva, in ipotesi, forse anche essere responsabile di inadempienze...
MARCO BOATO. No, io questo non l'ho detto.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. ...di fare un accertamento su se stesso. Si è chiesto al coordinatore di sapere come erano andate le cose, visto che era appena tornato da fuori.
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MARCO BOATO. Io intendevo solo dire che c'erano dei sospetti. Non intendevo dire che il dottor Sabella fosse responsabile di eventuali violazioni; ho detto che forse non era la persona più adatta, trattandosi del coordinatore.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Lo capisco in prospettiva, però, nell'immediatezza dei fatti, la persona a cui più ragionevolmente si poteva chiedere di fornire notizie era colui che era stato sul posto e che aveva, comunque, coordinato le operazioni.
Su quali fossero i rapporti, per quanto riguarda Bolzaneto e in particolare la Polizia di Stato e la polizia penitenziaria nei due siti, nella documentazione non vi è nessun riferimento se non in un passaggio della relazione in cui si dice che la polizia penitenziaria, in qualche caso, ha tentato di superare le stanze nella quali erano ospitati gli arrestati ma non è riuscita ad andare oltre. Quali fossero in concreto i rapporti in loco non risulta da nessuna relazione.
Per quanto riguarda le stanze...
MARCO BOATO. Risulta anche a lei che erano stanze completamente nude?
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Sì, questo sì, ma le camere di sicurezza, per quello che ne so io, e anche le stanze dove vengono collocati i detenuti nuovi giunti, appena arrestati nei luoghi di transito, nei reparti transito degli istituti penitenziari...
MARCO BOATO. Il ministro ha descritto le persone in piedi, con le gambe divaricate, e così via, affermando che tutto gli appariva normale.
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EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Questo no; lì probabilmente, vi era anche l'esigenza di tener conto di situazioni nelle quali c'era un certo numero di persone, non c'era la vera e propria questura, non c'era il vero e proprio carcere, c'erano spazi ristretti. Bisognava tener conto anche della necessità di evitare che, anche in quella sede, accadessero ulteriori incidenti. Sarà stata, probabilmente, una cautela eccessiva ma, probabilmente, è quella la ragione.
Abbiamo un'illustrazione, uno schizzo, dei locali in cui erano ubicate le stanze: c'erano tre scalini, era un piano leggermente rialzato, verso il fondo c'erano nove celle, stanze destinate alla Polizia di Stato, una stanza inizialmente assegnata a noi (successivamente, di lì a qualche giorno, anche un'altra), un'infermeria, una matricola, i bagni, i locali della Digos e della squadra mobile. Per fare le operazioni di fotosegnalamento e di notifica dei verbali di arresto, bisognava uscire da questo locale e recarsi in altro locale ancora.
Ovviamente, so della visita del ministro a Bolzaneto; non mi risulta che sia stata una visita sollecitata. Ho sentito il ministro raccontare di questa visita ma esattamente nei termini in cui sono apparse le notizie sui giornali. Non sono in grado di dire altro su questo punto.
Non ho elementi per affermare, oggi, se vi siano responsabilità disciplinari. Nel chiudere l'illustrazione iniziale, intendevo soltanto dire che posso pensare, con sufficiente margine di ragionevolezza, che, in momenti particolarmente concitati, qualche eccesso può esservi stato e che, se questo eccesso è stato, e viene accertato, ovviamente sarà perseguito. Allo stato dell'arte e ad oggi, dai nostri atti non risulta ancora che ci sia una possibilità concreta di dire che il singolo poliziotto penitenziario ha tenuto comportamenti censurabili
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sul piano penale o disciplinare. Il piano penale, lo accerterà l'autorità giudiziaria e quello disciplinare lo accerterà la commissione d'inchiesta.
Da quando è stata pensata l'organizzazione? Da quando, senatore Falcier, si è cominciato a parlare in comitato nazionale per l'ordine pubblico; da quando le cose sono diventate più concrete; da quando si è resa concreta la necessità di darsi una organizzazione anche per la nostra parte più piccola, più ridotta, ovviamente, rispetto ai compiti di ben altro spessore quanto meno quantitativo, se non addirittura qualitativo, che sono state chiamate a svolgere le altre forze di polizia. Da alcune relazioni di Sabella, risultano dati della segreteria tipo: da questo momento in poi non vengono più ricevuti detenuti a Genova Marassi; da questo momento in poi il personale arrestato viene portato presso i siti penitenziari di Bolzaneto e di San Giuliano; questi siti penitenziari funzionano fino a questa data. Queste sono le valutazioni e i ragionamenti che sono stati fatti.
L'individuazione dei locali, poi, è avvenuta con lettere, del questore di Genova, che ci ha assegnato due stanze all'interno della struttura di Bolzaneto e lo stesso è avvenuto per ciò che riguarda la caserma di San Giuliano. Si è dato atto della riconsegna di questi locali, all'interno dei quali non mi risulta siano stati prodotti danni o che ci sia stata la necessità di risarcire danneggiamenti prodotti in qualche modo. Non mi risulta neanche che il personale appartenente alla polizia penitenziaria abbia avuto feriti o riportato feriti a seguito di aggressioni. Né mi risulta che l'autorità giudiziaria abbia avviato iniziative nei confronti di appartenenti alla polizia penitenziaria. Sta chiedendo, questo sì, alcuni documenti ed altro materiale che noi stiamo, ovviamente, rapidamente, immediatamente fornendo e abbiamo già in parte fornito.
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Per quanto riguarda l'aspetto sanitario, diceva il senatore Petrini, in qualche modo credo di aver già dato una risposta per alcuni aspetti. La sommaria visita, il triage, non veniva evidentemente refertato perché non risulta da nessun atto che lo fosse. Successivamente, venivano sottoposti a visita, quella regolare - come se si fosse entrati in carcere - e quella risulta regolarmente dalle cartelle cliniche. La stessa visita, fatta da parte del personale sanitario dell'amministrazione penitenziaria, non appartenente alla polizia penitenziaria, veniva svolta una volta che, gli arrestati venivano portati negli istituti penitenziari. Ho detto, nell'introduzione e nella relazione all'inizio, che il raffronto tra gli accertamenti sanitari riportati in cartella clinica per la prima visita svolta presso i due siti penitenziari e per la visita svolta presso gli istituti penitenziari dà gli stessi esiti, il che fa pensare che fossero fatte bene anche le visite fatte direttamente nei presidi penitenziari. I referti dicono le stesse cose: contusioni, ecchimosi, spalla destra, spalla sinistra...
PIERLUIGI PETRINI. Dovremmo dare al dottor Di Somma le relazioni degli ispettori del Ministero dell'interno, affinché verifichi quanto è stato affermato dal dottor Montanaro.
PRESIDENTE. Sì, però è una questione che non interessa. Il dottor Di Somma è qua per fornirci delle notizie, non siamo noi che dobbiamo comunicare a lui le notizie. Lei ha fatto una domanda precisa: il dottor Di Somma deve dirci se sia in condizione di confermare o meno. Se non ha elementi, credo sia importante che ci dica che non ha elementi; se li ha, o se si riserva, eventualmente, sarà nostro compito dargli i documenti che possono essere utili.
EMILIO DI SOMMA, Vicedirettore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Le procedure per l'immatricolazione,
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rispondendo all'onorevole Ascierto, sono esattamente quelle che ha letto nella relazione dell'ispettore del Ministero dell'interno: sono gli atti che si svolgono normalmente presso qualunque commissariato o questura del nostro paese e sono, conseguentemente, quelli descritti dalla relazione dell'ispettore per la parte che riguarda l'istituto penitenziario.
Per quanto riguarda i tempi, bisogna tener conto della quantità delle persone che contemporaneamente si presentava per lo svolgimento di queste procedure. Si tratta di prendere impronte, fare fotografie, chiedere dati anagrafici. In molti casi, credo ci fossero problemi di lingua (23 nazionalità diverse), quindi, probabilmente, in qualche caso, si può anche capire che sia stato necessario impiegare un tempo un po' più lungo; in qualche caso, probabilmente, il tempo è stato effettivamente troppo lungo e questo potrà essere oggetto di accertamenti. I medici non sono della polizia penitenziaria.
Non risulta che vi siano stati procedimenti per calunnia sporti da appartenenti alla polizia penitenziaria nei confronti di... può anche darsi che ciò sia accaduto, ma non risulta a me.
Onorevole Sinisi, non mi risultano, dagli atti, segnalazioni in ordine ad inefficienze. Da questi atti, non risulta che vi siano stati momenti di promiscuità tra arrestati e polizia ed io non sono in grado di darle una risposta. Per quanto riguarda l'avvicendamento tra polizia e carabinieri, so soltanto che, a seguito degli eventi a cui lei ha fatto riferimento, alcune unità di personale dei carabinieri sono state spostate dalla parte di Bolzaneto, ma che ciò sia avvenuto in quantità tale da poter parlare di un vero e proprio avvicendamento, non risulta dai nostri atti. Nessuna relazione da parte dei nostri uomini presenti sul posto, dei nostri responsabili in loco, dà conto di questi avvicendamenti.
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PRESIDENTE. Dottor Di Somma, la ringrazio per il suo contributo: se lei ritiene di dover allegare documenti a chiarimento di quanto detto, può farlo, eventualmente anche con la relazione da lei svolta, che è stata abbastanza esaustiva.
Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Il senatore Boscetto ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori. Ne ha facoltà.
GABRIELE BOSCETTO. Signor presidente, domani mattina, io, al Senato - come, questa mattina, l'onorevole Mondello, di Forza Italia, alla Camera - presenterò un'interrogazione al ministro degli affari esteri ed al ministro dei beni e delle attività culturali del seguente tenore: nell'ambito dei rapporti dell'interscambio turistico e culturale del nostro paese con la vicina Svizzera e, al fine di evitare un ulteriore danno all'immagine della città di Genova e del nostro paese, in relazione agli avvenimenti accaduti in Genova, in occasione del G8, il sottoscritto interroga i suddetti ministri per conoscere, anche attraverso...
PRESIDENTE. Mi scusi, senatore, noi siamo in sede di Comitato per svolgere l'indagine conoscitiva.
GABRIELE BOSCETTO. Vi è una riserva istruttoria...
PRESIDENTE. Allora lei si limiti a dirmi qual è la richiesta. Oggi, sospendiamo i lavori e svolgiamo l'ufficio di presidenza: vorrei sapere: il suo intervento sull'ordine dei lavori a che cosa tende? Quale aiuto può dare al Comitato questa interrogazione, affinché ne prendiamo contezza?
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GABRIELE BOSCETTO. Presidente, se fosse un'interrogazione sui fichi o sulle mele, non darebbe alcun apporto. Lei deve lasciarmi spiegare qual è l'oggetto dell'interrogazione, altrimenti non capirà se può o meno avere una valenza.
PRESIDENTE. Le chiedo, succintamente, su che cosa verta l'interrogazione.
GABRIELE BOSCETTO. Succintamente, trattasi di un'iniziativa improvvisa ed inopinata, per la quale nel festival cinematografico internazionale di Locarno, il giorno della chiusura, il 12 agosto, accanto ai film da tempo programmati ed ai cartoni animati previsti (tutti di produzione d'autore e di case di produzioni note ed operanti da tempo), improvvisamente, viene deciso dalla curatrice del festival di programmare e proiettare, per due ore e mezzo, un insieme di filmati, ripresi da ignoti videoperatori amatoriali, montati ed assemblati secondo scelte politiche soggettive di un regista indipendente, prevedendo che l'intera giornata di chiusura sia dedicata ad essi.
Mi riservo - ritenendo che questo tipo di decisione improvvisa, in una manifestazione di carattere pubblico, vada, in qualche modo, ad interferire con quelle che sono le nostre serene logiche di accertamento dei fatti e le serene logiche istruttorie della magistratura - di chiedere, attraverso richiesta scritta, l'acquisizione di quel filmato, dando, nel contempo, cognizione ai parlamentari membri di questo Comitato, di quanto sta accadendo, cioè di un fatto che l'onorevole Mondello, io ed il nostro partito (Forza Italia) riteniamo grave, perché si crea spettacolo, usando spezzoni di filmati su dolorosi, seri ed importanti fatti, in modo del tutto acritico, proiettandoli, tra l'altro, in un festival all'estero di rinomanza internazionale.
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PRESIDENTE. Grazie, senatore Boscetto. Abbiamo compreso lo spirito del suo intervento. Lei intende assumere un'iniziativa da acquisire, poi, eventualmente, agli atti del Comitato...
GABRIELE BOSCETTO. Se tutto questo si verificherà, mi riservo di chiedere l'acquisizione agli atti del Comitato.
PRESIDENTE. Ce ne farà richiesta, quando avremo elementi certi. Il Comitato verrà convocato nella data e all'ora stabilite dall'ufficio di presidenza, che si riunirà immediatamente a seguire.
La seduta termina alle 17,30.